SHINING (Stanley Kubrick, 1980)
Kubrick si cimenta con il genere horror trasportando sullo schermo una storia di Stephen King. Occorre dire che lo fa in modo straordinario, sollevando una suspense angosciosa che aumenta col procedere della storia, per giungere a un finale solo parzialmente liberatorio e che lascia nella coscienza dello spettatore più di un interrogativo. Anche in questo film, magistrali sono la fotografia e la colonna sonora che si integrano per accompagnare e sottolineare gli elementi più drammatici della vicenda. Nella colonna sonora, vi sono molti brani di musica classica: la Sinfonia fantstica di Berlioz, il III movimento della Musica per archi percussione e celesta di Bartok e diversi brani di Krysztof Penderecki, etc.
Il film inizia offrendo allo spettatore un paesaggio brullo sulle rive di un lago incassato fra monti in parte coperti da boschi, in parte rocciosi e innevati. Siamo nel Colorado, sulle montagne rocciose a un’altezza un paio di migliaia di metri. Sul bordo del lago corre una strada percorsa da un automobile, un maggiolino Volkswagen, che si inoltra nel paesaggio, accompagnata dalla Sinfonia fantastica di Berlioz, sul tema ripetuto del “Dies Irae”. L’inizio apre le porte alla suspense.
La meta della macchina è un grande albergo, l’Overlook Hotel, sperduto fra le montagne, frequentato da turisti nel periodo estivo, ma che nel periodo invernale è costretto a chiudere dato che la zona in cui risiede diventa inaccessibile. L’immagine dell’hotel è una combinazione di grandioso e di squallore. Il suo colore, le sue forme spigolose si fondono in modo aspro con il desolato paesaggio circostante.
La persona che guida la macchina è uno scrittore fallito, insegnante disoccupato, costretto per vivere a fare saltuari lavori: Jack Torrence, interpretato da Jack Nicholson. È qui per assumere il compito di custode invernale: dovrà trascorrere cinque mesi nell’hotel in assoluto isolamento, per mantenere quel minimo di efficienza che renderà possibile la riapertura al ritorno della primavera. In questi cinque mesi avrà come unica compagnia la moglie Wendy (interpretata da Shelley Duvall) e il figlio Danny (interpretato da Danny Lloyd). Il proprietario lo avverte: il lavoro non è pesante, ma la solitudine può fare brutti scherzi. E gli racconta un tragico episodio avvenuto anni prima. Un sorvegliante, impazzito per la solitudine, uccise la moglie e le piccole figlie, facendone a pezzi i cadaveri. Jack, poco impressionato, accetta comunque il compito.
Ma già fin dalle prime inquadrature ci si rende conto che qualche cosa non quadra: la moglie Wendy è entusiasta del luogo, ma Danny no. Non ha nessuno con cui giocare, e soprattutto il suo amico immaginario, John, che sembra essere incarnato nel dito indice della mano destra e dispone di una voce cavernosa, lo sconsiglia.
Durante il giro di ricognizione dell’albergo, prima dell’abbandono definitivo, compare un nuovo personaggio, il capocuoco Halloran, un afro-americano che prende in simpatia il bambino. In effetti egli si rende conto che Danny, come d’altra parte egli stesso, ha proprietà anormali, quello che chiama la “luccicanza” (shining) ovvero la capacità di leggere nel pensiero, di sentire o vedere cose avvenute che hanno lasciato una traccia nell’ambiente. Il bambino gli chiede se nell’hotel ci sono presenze diaboliche. Il capocuoco lo avverte che, proprio a causa di questa sua dote, gli potrà capitare di vedere o sentire persone e cose che hanno fatto parte di episodi di violenza accaduti in passato. Ma non c’è da aver paura: si tratta di irrealtà. L’unica cosa concreta che Halloran raccomanda a Danny è il categorico consiglio di non entrare nella camera 237.
La vita nell’albergo, dopo la partenza di tutti gli ospiti rimasti e la definitiva chiusura stagionale, riprende il suo ritmo famigliare. Danny corre per i corridoi con una triciclo, mentre Jack e Wendy attendono ai loro lavori. Danny è il primo a osservare cose paurose: da una porta a vetri si riversa nei corridoi un fiume di sangue; due gemelline compaiono e lo invitano a giocare con loro; ma tutto questo, pur turbandolo profondamente, memore degli avvertimenti di Halloran, non incide sul suo comportamento. Danny e la madre durante la giornata si divertono a correre per il parco dell’albergo, scoprono un labirinto fatto da siepi, vi si introducono, lo percorrono, ne imparano i percorsi, mentre Jack riprende la stesura di un romanzo alla macchina da scrivere.
Un fatto inspiegabile interviene già nei primi giorni: si tratta di uno scatto di ira di Jack nei confronti della moglie. Jack sta scrivendo. L’arrivo della donna lo interrompe e lo distrae. La sua reazione è violenta. Il filo delle idee si è interrotto; questo non deve più succedere, urla Jack; caccia via la moglie e le fa formale divieto di avvicinarglisi quando scrive. La reazione è sproporzionata al disturbo che può avergli arrecato la donna col sua arrivo.
Passano altri giorni, scanditi da Kubrick con delle didascalie che indicano il giorno della settimana. Arriva la neve con una disastrosa nevicata che interrompe le linee telefoniche. Il collegamento col mondo esterno ora è affidato solo alla radio. Danny continua a percorrere in triciclo i corridoi dell’albergo, e vede comparire le due sorelline uccise anni prima dal padre impazzito; passa più volte davanti alla stanza 237, e una volta, quando una strana palla che corre sul pavimento sembra venire proprio da quella stanza, con grande titubanza vi vorrebbe entrare, ma trova la porta chiusa. Intanto il comportamento di Jack si fa sempre più strano. Lo si vede in continuazione battere a macchina, ma di fatto non lavora, mentre il lavoro di controllo delle attrezzature, che dovrebbe essere suo compito, è affidato quasi esclusivamente alla moglie. Anche il suo rapporto con Danny è cambiato. Lo stringe a sé, gli dichiara il suo amore, gli dice che non gli farà mai del male, ma lo guarda con occhi assenti; tutto questo richiama nella mente dello spettatore il brutale episodio accaduto in precedenza di cui si è parlato. In un’occasione successiva, la moglie, mentre sta controllando le caldaie, sente delle urla e accorre. È Jack che, semisdraiato a terra, singhiozzante, rivela di avere avuto un incubo terribile. A fatica Wendy riesce a calmarlo. L’incubo ha a che fare col racconto del custode assassino, e nel sogno pareva a Jack di essere egli stesso quel custode.
L’episodio della strage compiuta anni prima comincia a entrare nella vita della famiglia Torrence. Lo fa nelle apparizioni viste da Danny, e lo fa nella fantasia di Jack che assume aspetti sempre più realistici.
Jack vede personaggi inesistenti, come il barman della sala d’oro che gli serve da bere; Danny entra nella stanza 237 e ne esce terrorizzato con ecchimosi sul collo, come se qualcuno avesse provato a strangolarlo; Jack ancora, andando alla camera 237 per vedere che cosa è successo al figlio, incontra una donna bellissima, nuda che lo abbraccia e lo bacia, ma in realtà è una vecchiaccia spaventosa, con aspetto cadaverico che lo deride. Wendy è sempre più terrorizzata e non capisce quale forza interiore stia dominando il marito, che si fa sempre più minaccioso nei suoi confronti e in quelli del figlio.
Queste tensioni interne all’hotel vengono percepite dal capocuoco Halloran che, mediante i suoi poteri percepisce il pericolo che corre il bambino. Cerca di mettersi in contatto telefonico con l’hotel ma, come si è visto, i telefoni non funzionano.
La situazione si fa sempre più intricata e la suspense sempre più angosciante. Jack torna nella sala d’oro, questa volta piena di gente, forse è in corso una festa. E lì incontra (ovviamente crede di incontrare) un cameriere che, per avergli versato addosso dei bicchieri che stava trasportando su un vassoio, lo invita a entrare nel bagno, dove lo pulirà. Il bagno è un ambiente allucinante, con pareti e arredi tutti colo rosso vivo. Il cameriere non è altro che il famoso custode, Grady, l’autore della strage di moglie e figlie fatta anni prima. Egli lo invita a seguire il suo esempio e a liberarsi di moglie e figlio. Tutti questi episodi dimostrano che Jack è preda di una specie di pazzia, e che in lui stanno rivivendo le spaventose vicende di un passato che ha lasciato profonde tracce nell’ambiente dell’hotel. Di questo se ne rende conto anche Wendy quando scopre che il marito non sta scrivendo un romanzo, ma alla macchina da scrivere ha riempito fogli e fogli di una sola frase: “Tutto lavoro e niente svago rendono Jack un ragazzo annoiato”.
Lo scontro decisivo è ormai in atto. Jack cerca moglie e figlio per l’hotel, e per impedire loro ogni via di fuga, sabota la radio e la motoslitta in dotazione. Wendy e Danny cercano di mettersi in salvo.
Halloran, vista la inutilità di ottenere una comunicazione, si mette in viaggio per raggiungere l’hotel con tutte le difficoltà di un viaggio in mezzo alla neve sempre più alta. Prima utilizza un’automobile, poi, nel tratto più difficile noleggia una motoslitta.
Quando Jack trova la moglie cerca di strangolarla, ma la donna lo colpisce al capo con una mazza da baseball e lo rinchiude nella dispensa dalla quale non può uscire. Ma non è così. Ripresi i sensi Jack (con l’aiuto di Grady?) riesce ad aprire la porta e, armato di una pesante a grossa accetta, insegue nuovamente i due, che ora si rifugiano nel loro piccolo appartamento. La via di fuga è la finestra del bagno, che tuttavia non si apre abbastanza per lasciarli passare. Passa solo Danny. Jack implacabile sfonda la porta, ma Wendy, armata di coltello lo ferisce alla mano, fermandolo per un attimo.
In quel momento Halloran arriva all’hotel e, lasciando la motoslitta sul piazzale antistante, entra. Jack capisce che c’è un elemento di disturbo al suo piano, e gli tende un agguato, uccidendolo. Poi esce ad inseguire Danny, che per sfuggirgli entra nel labirinto. Il bambino conosce l’itinerario giusto, il padre no. Jack lo insegue con occhi feroci, la scure brandita, chiamandolo con la stessa voce con cui il lupo cattivo chiama cappuccetto rosso. Ma Danny riesce a fuggire, esce dal labirinto dove la madre, davanti alla motoslitta lasciata da Halloran, lo aspetta e insieme fuggono. Il finale ci mostra Jack, perso nel labirinto, morto assiderato, mentre la cinepresa fa una carrellata nella sala d’oro dove è esposta una fotografia di una festa di tempi passati (1921 mostra una scritta) con tanta gente che balla, beve, si diverte, e al centro l’immagine di un uomo che non è altro che Jack Torrence. È il punto interrogativo finale. Chi era in realtà Jack Torrence?
La suspense è veramente intensa, e devo dire che, guardando il film una seconda o una terza volta, quindi conoscendo fatti e finale, la suspense si produce nuovamente come alla prima, e così l’angoscia. Questo è un segnale della sua straordinaria grandezza. La fotografia dei meandri dell’hotel, le espressioni di Jack Nicholson estremamente mutevoli e intensamente espressive che vanno dalla fissità di sguardo terrorizzata, al ghigno feroce, con cui insegue le sue vittime, alla risata con cui parla con le persone della sua immaginazione; l’espressione sofferente e terrorizzata della moglie bruttina; lo sguardo assente del piccolo Danny che si anima solo quando parla con l’amico immaginario; il viaggio di avvicinamento di Halloran che più che un sollievo nel senso di “arrivano i nostri” crea una sorta di timore che il cuoco alla fine del viaggio troverà la sua morte; tutto serve a comporre l’ansia con la quale lo spettatore segue la vicenda, e che si incrementa fotogramma dopo fotogramma. E questo è il segnale del capolavoro.