MAMMA ROMA (Pier Paolo Pasolini, 1962)
È il secondo film di Pasolini. Anche questo, come Accattone è girato in bianco e nero e ha come ambiente la periferia di Roma. Non il territorio delle bidonville infestate da sottoproletari come nel film precedente. L’ambiente è la periferia dove i grandi, bianchi palazzoni dei quartieri di case popolari rappresentano il confine della città, oltre i quali si apre una campagna brulla popolata da antichi acquedotti romani, arcate, ruderi e frammenti di arcate. Si tratta del quartiere Don Bosco, dominato dalla cupola della basilica di San Giovanni Bosco, e di contro, il parco degli acquedotti dove dominano le arcate dell’Acqua Claudia.
È la storia del tentativo di una battona di risalire la china in cui è precipitata con il suo mestiere, e raggiungere un minimo di benessere gestendo una bancarella al mercato; e in tal modo assicurare al figlio una collocazione sociale dignitosa. Ma il tentativo non le riesce, la vita è crudele e non c’è spazio per tentativi individuali di riscatto. Le circostanze ti tireranno di nuovo giù, al livello da cui sei partita, dopo aver pagato un prezzo altissimo.
Mamma Roma è la battona interpretata da Anna Magnani. Il suo pappone Carmine, interpretato da Franco Citti, si è sposato. Ora ella è libera. Si è organizzata, ha investito i suoi risparmi in una bancarella di frutta e verdura al mercato rionale, e per compare una casa decente nei quartieri abitata dalla gente per bene.
L’inizio del film è folgorante: il pranzo di nozze di Carmine; una tavolata in una grande sala, che ricorda in modo grottesco l’ultima cena di Leonardo o forse le nozze di Cana, comunque immagine che richiama pitture rinascimentali. La scena si compone in un’allegria volgare, tipica dell’ambiente.
Ma l’allegria di Mamma Roma ha ben altre motivazioni. La donna, finalmente libera, corre a Guidonia, dove vive il figlio Ettore, interpretato da Ettore Garofalo, e lo porta a Roma. Il figlio deve crescere in città, non fra i burini con la prospettiva di diventare un rozzo contadino. Il carattere del ragazzo appare già delineato dalle prime inquadrature: lo vediamo mentre sottrae di soppiatto un pacchetto di sigarette a una bancarella, apprendiamo che non sa né leggere né scrivere, e si ritrova con un gruppo di amici sfaccendati, sottoproletari ignoranti e privi di risorse come lui. Quando la madre lo vede e lo chiama, e manifesta l’immensa gioia di portarlo a vivere con sé nella grande città, egli non mostra nessun entusiasmo alla vista della donna, della quale ignora il vecchio mestiere di battona e verso la quale sembra non avere alcun interesse.
Finalmente sono a casa. Davanti all’atteggiamento perplesso del ragazzo, che si vede proiettato in un mondo per lui sconosciuto e poco attraente, Mamma Roma lo incita: «Ettore, sei a casa tua, rilassati. La tua vita cambierà e sarà molto più bella». La collocazione è provvisoria. Presto si trasferiranno in una casa nuova, in un quartiere più a modo. Il giovane farà amicizie degne, imparerà a comportarsi e intanto ella gli insegna a ballare, cosa indispensabile se vuole avere rapporti con la buona società.
Ma già il destino comincia a bussare alla porta. Carmine, che avrebbe dovuto scomparire per sempre dalla sua vita, si rifà vivo. È solo un anticipo. Ha bisogno di soldi, e impone a Mamma Roma di riprendere a battere, anche se solo per pochi giorni. La liberazione è un percorso difficile, soprattutto se si vuole tenerne fuori il figlio, che deve diventare un onesto lavoratore.
Mamma Roma, finito il nuovo incarico, saluta le colleghe (una in particolare sua amica, Biancofiore – nessuna allusione all’attuale berluschina che vorrebbe il padre padrone alla presidenza della repubblica) e se ne torna a casa, finalmente! questa volta veramente libera. È bellissima la ripresa del percorso notturno della donna, con passo quasi marziale, lungo la strada immersa nel buio, affiancata da lampioni di poca luce, attorniata da uomini sempre diversi ai quali racconta frammenti del passato, il matrimonio fallito, il figlio, la vita da battona che ora finalmente è finita.
Mamma Roma e figlio sono giunti alla nuova casa. Nel quartiere gli abitanti sono persone per bene, o comunque dotate di soldi. Fra esse c’è il proprietario di una trattoria molto ben frequentata, il signor Pelissier. Anche i ragazzi con i quali Ettore stringe amicizia appartengono all’ambiente. Ma le apparenze sono una cosa e la realtà un’altra. Anche questi giovani sono nullafacenti, senza soldi e pronti a procurarsene con furtarelli di vario tipo, soprattutto rubare radioline o cose simili ai malati dell’ospedale durante l’orario delle visite.
Ci sono anche ragazze, e si incontrano nella brulla campagna, sotto gli archi in rovina degli acquedotti romani. Fra le ragazze che n’è una, Bruna, che ha un piccolo bambino che porta con sé e che sembra che la dia facilmente, in sostanza che sia una puttana.
Ettore viene conquistato dalla ragazza che gli fa avere un rapporto sessuale. Il primo amore, quello che ti stringe. Il giovane ha bisogno di soldi, e se li procura rubando oggetti di casa e rivendendoli.
Mamma Roma capisce che non può lasciare che il figlio cresca in mezzo alla strada come sta facendo. Decide così di cercargli un lavoro. Prima va dal prete, e gli chiede un aiuto. Ma il prete la scoraggia. Ettore non sa far nulla. Occorre cominciare da zero, mandarlo a scuola, fargli imparare un mestiere. Mamma Roma non ci sta. Un episodio nel quale Ettore, a causa di Bruna, viene picchiato dagli amici, la convince a rompere gli indugi. In primo luogo, ricatterà il signor Pelissier in modo che assuma il figlio come cameriere nella sua trattoria. In secondo luogo Biancofiore, con le sue arti di seduzione, toglierà dalla testa e dal cuore di Ettore, la Bruna. Tutto sembra andare a posto, e Mamma Roma regala al ragazzo una bella motocicletta. Con lui farà un bel giro per Roma e alla sera va ad ammirarlo mentre lavora come cameriere nelle trattoria. È felice.
Ma il destino incombe.
Mamma Roma vuole uscire dal pantano da sola. E da sole, dal pantano non si esce. Carmine si rifà vivo. Mamma Roma deve ritornare a battere per evitare che il figlio sia informato del vecchio mestiere della madre. Ma Ettore sa già tutto, informato da Bruna. Così si licenzia dalla trattoria. Mamma Roma riprende a far la vita e la vediamo per la seconda volta percorrere la strada notturna, questa volta in senso inverso, al buio, fiancheggiata da lampioni che non fanno luce, attorniata da colleghe e da uomini che ascoltano il suo monologo. Questa volta Mamma Roma si chiede di chi è la colpa di questa vita nel pantano. E la colpa è nostra. Come ha detto il prete, abbiamo cercato di uscirne senza ricominciare da zero, e tutta la sua generazione, il marito, i genitori, i nonni, tutti hanno vissuto una vita di miseria dalla quale non è stato possibile uscire.
Intanto Ettore, che disprezza la madre e rifiuta il suo aiuto, si ritrova con i ragazzi di strada. Ha la febbre alta, ma non demorde. Vuole fare un nuovo furto all’ospedale, nonostante gli amici lo sconsiglino. Ormai troppi ne hanno fatti, e gli infermieri sono all’erta. Ettore non ascolta, e viene sorpreso mentre ruba una radiolina dal comodino di un malato. Viene arrestato, e, dato che ha la febbre alta, viene ricoverato nell’infermeria del carcere. Il suo carattere orgoglioso non regge alla prigionia. Vuole uscire, va in escandescenze, e così i secondini lo portano al manicomio dove viene legato a un letto di contenzione. Saranno le sue ultime ore. L’enorme sofferenza, amplificata dalla febbre, lo porta a morte, mentre in tono sempre più debole chiama aiuto e soprattutto invoca la mamma. Le immagini di Ettore sdraiato sul tavolaccio di contenzione, fino alla sua morte, richiamano anche qui un quadro rinascimentale, il Cristo morto del Mantegna. Mamma Roma subisce con disperazione l’arresto del figlio, e ha nell’animo come un presentimento, come se le richieste di aiuto del figlio penetrassero nel suo cuore. Nel momento in cui il figlio muore, mentre lei è al banchetto al mercato, ha uno svenimento. Vorrebbe morire, tenta di gettarsi dalla finestra ma viene salvata dai colleghi che l’hanno seguita. Il film si conclude sulla sua faccia, dove domina un’espressione di solitudine disperata.
Nel film, oltre alle immagini che si riferiscono alla pittura classica, anche la colonna sonora che commenta le inquadrature più significative, come le immagini degli acquedotti romani, ha riferimenti classici, in particolare i concerti di Vivaldi.
Straordinaria è l’interpretazione di Anna Magnani, che in alcune scene ricorda la sua interpretazione di Roma, città aperta, per esempio quando corre verso casa, col presentimento della morte del figlio, inseguita dai colleghi del mercato rionale. Splendide anche le camminate nella notte, quando con i suoi monologhi sembra intrattenere i clienti, mentre non fa altro che cercare di capire se stessa. Molto bella è anche la figura di Ettore, con un volto quasi sempre truce, con espressione diffidente, incapace di contrarre un rapporto di amicizia con i ragazzi che frequenta, o un rapporto affettuoso con la mamma. Solo in qualche rara occasione lo vediamo ridere, per esempio quando impara a ballare con la madre. Nel momento della morte si legge nel suo volto l’espressione disperata della sconfitta, mentre, per la prima volta invoca la mamma.