CLAXON TROMBETTE E PERNACCHI, di Dario Fo, 1982
Commedia che vorrebbe essere una satira nei riguardi dell’attività terroristica che negli anni di piombo veniva svolta nei confronti di personaggi di importanza; nello stesso tempo tuttavia la satira colpiva l’assurdità rappresentata dal potere che questi personaggi incarnavano.
La vicenda immagina che una banda terroristica decide di rapire Giovanni Agnelli. Il rapimento avverrebbe una notte, sui bastioni che circondano Torino, quando una macchina di terroristi affianca la macchina di Agnelli. Ma le cose vanno storte. Entrambe le macchine si rovesciano, la macchina che trasportava Agnelli si incendia e l’avvocato viene gravemente ustionato. Poco distante, in gentile intrattenimento con una delegata sindacale, un operaio specializzato della Fiat, Antonio, vede la scena e si slancia a soccorrere l’uomo che, investito dal fuoco, sta per morire. Per spegnere le fiamme gli mette addosso la propria giacca. Mentre lo soccorre dalle due macchine rovesciate partono delle raffiche di arma da fuoco. Antonio sale sulla propria macchina e chiama l’ambulanza e fa ricoverare in ospedale l’ustionati del quale ignora l’identità.
Questo è un antefatto che Dario Fo (nelle vesti di Antonio) racconta al pubblico.
Nell’ospedale i medici trovano nella giacca dell’ustionato i documenti di Antonio, e, ovviamente pensano che la persona ricoverata, per altri versi irriconoscibile, sia lui. Chiamano la moglie, Rosa, interpretata da Franca Rame, per il riconoscimento ufficiale.
Così comincia la commedia. Si viene a sapere che Rosa è sì la moglie di Antonio, ma questi ormai vive con un’altra donna, Lucia, che Rosa chiama la spitinfia. Noi ora sappiamo che il ricoverato non è Antonio, ma Gianni Agnelli in persona, anche se nessuno, fino a quel momento è riuscito a identificarlo. Tutti danno per scontato che si tratti di Antonio. Naturalmente la scena si sviluppa in modo comico, con numerosi fraintendimenti. Alla fine il chirurgo chiede le fotografie di Angelo per poter ricostruire il viso.
Angelo è vivo e vegeto e discute con Lucia: i giornali riportano l’agguato e il rapimento di Gianni Agnelli. Antonio, che è, come si sa, è stato il suo salvatore, viene invece accusato di essere uno dei rapitori e quindi si eclissa per evitare l’arresto. Di Agnelli non c’è nessuna notizia, e la polizia indaga per sapere dov’è stato imprigionato e chi sono i suoi sequestratori. Cercano di interrogare, con scarso successo la persona ustionata, pensando sempre che si tratti di uno dei rapitori. Naturalmente viene coinvolta anche Rosa, la moglie e sottoposta a interrogatorio.
Intanto l’operazione riesce, l’ustionato viene ricostruito in modo da assomigliare come una goccia d’acqua ad Antonio; impara a parlare e a pronunciare parole sempre più difficili; riesce a camminare, in modo sbilenco; si alimenta attraverso un catetere che entra in un foro sopra la clavicola, e così via. La polizia lo tiene controllato, perché continua a ritenere che si tratti di Antonio, e, in un modo o nell’altro premono per conoscere gli aspetti che più occorrono per salvare l’avvocato e liquidare il commando terrorista che l’ha rapito.
Tutto il resto della commedia fa perno sull’equivoco rappresentato da una parte dal vero Antonio, e dall’altra dall’avvocato Agnelli che, a seguito dell’intervento di plastica, è ora indistinguibile dal vero Antonio. Ovviamente i due con compaiono mai assieme, per cui la moglie Rosa, i poliziotti, e la stessa Lucia, vengono ingannati continuamente, un momento per la comparsa del vero Antonio, e il momento dopo per la comparsa dell’Avvocato. Ovviamente l’attore in un caso e nell’altro è sempre Dario Fo.
Questa situazione dovrebbe suscitare risate che, forse perché la commedia è molto datata, forse per una debolezza intrinseca della struttura, in me non sono state affatto suscitate. Anzi, questo continuo scambio di personaggi, gli equivoci che continuamente sorgono, la meraviglia di Rosa che non capisce come i due personaggi le appaiano in due situazioni continuamente cambianti, alla fine finisce di essere alquanto noioso.
Il finale è concluso da Agnelli che, dominando la scena fa un discorso sul potere rappresentato dal controllo economico, e mette tutta la combricola, a tacere e a subire la sua presenza come risultato definitivo della vicenda narrata dalla commedia.
Il continuo scambiarsi delle due persone, Agnelli il presunto sequestrato, Antonio, il presunto sequestratore, sono una formula per mettere in evidenza come nella nostra società non esista una vera distinzione dei ruoli che ogni uomo gioca, fermo restando che invece quello che crea distinzione è il potere, in base al quale si formano le stratificazioni sociali.