TEOREMA, di PierPaolo Pasolini, 1968

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Il film comincia con un’intervista a degli operai ai quali il padrone ha regalato la fabbrica in cui lavorano. Come interpretano gli operai questo gesto? Il padrone, espressione della borghesia, regalando la fabbrica agli operai li trasforma in borghesi? È questa una nuova forma del rapporto borghesia-classe operaia? Si sta creando una tendenza per cui la classe borghese comprenderà tutta la popolazione? « Se insomma tutta la borghesia arriva a identificare tutta l’umanità coi borghesi – dice l’intervistatore – non ha più davanti a sé una lotta di classe da vincere, non con l’esercito, non con la Nazione, non con la chiesa confessionale, ha davanti a sé delle nuove domande, deve rispondere a delle nuove domande in una situazione diversa della borghesia. Lei può rispondere a queste domande?» – chiede ad alcuni di loro. Ma poi quali sono i valori della borghesia? Tutto il racconto si sviluppa nella ricerca di questi valori e quindi di dare una risposta a “queste domande”.


Il punto di riferimento è una famiglia tipicamente borghese, nella quale il padre (Massimo Girotti) è il proprietario di una fabbrica; vi sono poi il figlio Pietro (Andrès José Cruz Soublette), la figlia Odetta (Anne Wiazemsky) e la moglie Lucia (Silvana Mangano). La famiglia vive in una bella villa, riceve in continuazione ospiti, i figli frequentano le migliori scuole, perfino la serva Emilia (Laura Betti) sembra condividere gli stessi valori dei “signori”. Quali siano questi valori, più che attraverso il comportamento quotidiano dei singoli, Pasolini li esplora ricorrendo a una simbologia molto secca, e molto efficace: nel corso di situazioni della quotidianità, sullo schermo compaiono in modo ricorrente brevi immagini di un deserto percosso dal vento e ricoperto dalla polvere che il vento solleva. In altre parole, in contrapposizione alle immagini della tipica vita “per bene” classica dell’ambiente borghese, l’interiorità dei diversi personaggi non offre nulla se non uno squallido deserto, nel quale tuttavia vento e polvere sembrano preludere a cambiamenti di stato.
E questi cambiamenti li porterà uno strano personaggio autoinvitato (Terence Stamp) il cui arrivo è preannunciato da un telegramma portato da un postino dal significativo nome di Angelo (Ninetto Davoli). Non si sa chi è, né da dove proviene, né perché si sia invitato. Resta il fatto che immediatamente, già all’arrivo la sua persona, indubbiamente di bell’aspetto, esercita una intensa e invincibile attrazione sessuale sui vari membri della famiglia: prima sulla serva che, mentre lavora, lo guarda affascinata. L’attrazione che avverte la donna è tale da sconvolgerla e farla giungere fino quasi al suicidio. L’ospite (nel film non gli viene attribuito un nome, ma solo la qualifica di ospite) la salva, ne comprende il dramma e la coinvolge in un rapporto nel quale la donna resterà impigliata.
Poi l’attrazione coinvolge uno ad uno i vari componenti della famiglia. Pietro è un giovane dedito allo studio e all’apprezzamento delle arti pittoriche; lo vediamo mentre accanto all’ospite sfoglia un volume di riproduzioni della pittura di Francis Bacon (scelta non casuale). La sorella Odetta è una fanciulla molto timida, riservata, innamorata del padre e terrorizzata dalla presenza maschile. La madre Lucia è una donna che fa della fedeltà al marito il valore fondante della sua vita personale e sociale. Emilia, la serva, è la classica figura della contadina che si sente succube dei valori di cui sono portatori i suoi padroni.
Furtivamente Pietro, nottetempo, cerca l’ospite che dorme nel lettino vicino a suo e si lascia coinvolgere in un rapporto; Lucia, addirittura si spoglia e si fa trovare da lui nuda; Odetta lo trascina nella sua camera da letto dove, sfogliando un album di fotografie ricordo nel quale campeggia il ritratto del padre, fa l’amore con lui; alla fine lo stesso padre coinvolge l’ospite durante un giro in macchina nella campagna in riva al Po. Questi diversi coinvolgimenti sono sempre accompagnati da fuggevoli vedute del deserto battuto dal vento.
Il personaggio dell’ospite incarna quindi il simbolo di una pulsione al cambiamento che si verifica nell’animo della borghesia, la quale, fra le braccia di questo cambiamento cerca di dare una nuova risposta alla propria solitudine. E questo si verificherà subito dopo la partenza dell’ospite. Partenza definitiva, senza promesse di ritorno, anche questa, come l’arrivo, preannunciata da un telegramma portato da Angelo.
La sua partenza dà luogo a una serie di cambiamenti che coinvolgono tutti nella famiglia, in modo diverso l’uno dall’altro.
Pietro dà spazio alla propria vocazione, la pittura, pur essendo privo del talento necessario. Il rapporto con l’ospite ha fatto nascere il lui l’amore per la ricerca, sotto lo stimolo dei quadri di Bacon. I suoi quadri sono degli autentici pasticci, ma Pietro non demorde. Questo è un modo per lui di uscire dalla logica dei giudizi tipici del mondo borghese ed entrare nel campo assai più vasto e reale, per quanto difficile, della ricerca. «Bisogna cercare di inventare nuove tecniche – dice, – persino irriconoscibili, che non assomiglino a nessuna operazione precedente, per evitare la tua aridità, il ridicolo… Tutto deve presentarsi come perfetto, basato su regole sconosciute, quindi non giudicabili… nessuno, nessuno deve accorgersi che l’autore è un povero tremante idiota, una mezza calzetta».
Odetta, dopo i rapporti avuti con l’ospite, avverte profondamente il senso di vuoto e solitudine che la vita le ha riservato. Non ha una risposta ed entra in uno stato di follia catatonica che la fa trasferire in manicomio. Anche la madre Lucia avverte la ricchezza che il rapporto sessuale realizzato con l’ospite, strappandola alla visione religiosa del matrimonio e alla fedeltà coniugale come dovere senza contenuti, ha apportato alla sua personalità. Questo la spinge a trovare forme diverse, con giovani disponibili sul “mercato” che le possano far rivivere la stessa ricchezza, senza tuttavia per questo riuscire a donarle la felicità.
Dall’abbandono, Emilia, la serva, viene coinvolta in una crisi mistica. Torna alla casa d’origine, nella campagna, in un grande e vecchio casolare contadino. Ma non entra. Si siede su una panchina davanti alla grande corte, e resta immobile, quasi in preghiera, nutrendosi solo di ortiche. La gente tutta attorno, prima la guarda con grande diffidenza, poi gradualmente le si avvicina, fino a giungere in una specie di contemplazione che ha il suo culmine prima in una miracolosa guarigione di una malattia cutanea in un bambino, poi addirittura in una levitazione. Finirà per farsi seppellire in una specie di cantiere abbandonato, «non per morire – dice – ma per far sgorgare lacrime che daranno luogo a una sorgente».
Infine il padre. La sua solitudine non può essere vinta che dentro di sé. Decide di donare la fabbrica agli operai, e quindi, alla stazione si spoglierà nudo, quasi un moderno san Francesco, e si allontanerà entrando finalmente in quel deserto che si manifestava a tratti durante le vuote e ripetitive azioni della sua vita quotidiana di borghese. E proprio in quel deserto respingerà la propria natura borghese e libererà il proprio spirito in un urlo liberatorio per riempire con esso lo spazio del proprio deserto interiore.
Il film è caratterizzato da un dialogo asciutto, fatto di poche parole, di pochi scambi di battute. Tutto viene comunicate dall’immagine o, in alcune occasioni, da una voce di fondo, quasi come espressione dei pensieri dei protagonisti. Pasolini ricerca nelle espressioni dei volti e soprattutto negli atteggiamenti, il carattere ambiguo dei personaggi, i protagonisti, ma anche e soprattutto dei personaggi di contorno: i ragazzi con i quali Lucia si prostituisce; le figure di contadini davanti alla crisi mistica di Emilia; i piedi dei passanti che si fermano a guardare il padre che si spoglia alla stazione, e che poi si incammina per la direzione del deserto…
In conclusione l’ho trovato un film di grande e duro impatto sulla coscienza dello spettatore, che lo provoca dandogli consapevolezza dei momenti più scabrosi della vita con i quali si ha a che fare e che devono essere interpretati: la ricerca nell’arte, l’attrazione sessuale al di fuori della morale corrente, la crisi mistica e il potere dei miracoli, la follia come fuga dal reale, e in fine il gusto della conoscenza nel profondo di se stesso.

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