LE NEVI DEL CHILIMANGIARO E ALTRI RACCONTI, di Ernest Hemingway, 1936
È la raccolta di tre novelle, le ultime tre dei 49 racconti: esse sono: La breve felice vita di Francis Macomber, Le nevi del Kilimangiaro e Vecchio al ponte. Le prime due sono ambientati in Africa, e sono state scritte subito dopo aver terminato il romanzo Verdi colline d’Africa (1935) che descrive un safari da lui fatto assieme a Pauline, la sua seconda moglie, nel 1933. La terza è un brevissimo episodio, quasi un quadretto, ambientato in Spagna durante la guerra civile.
La breve felice vita di Francis Macomber racconta le due giornate conclusive di un safari africano al quale partecipa una giovane coppia americana, Francis Macomber e la moglie Margaret, guidata dal cacciatore bianco Robert Wilson.
Già all’inizio del racconto si capisce che i rapporti fra Francis e Margaret non funzionano. La coppia è apparentemente felice, ma continue fratture si susseguono, e spesso si fanno strada minacce di abbandono da una parte o dall’altra. Ma nessuno dei due ha interesse alla separazione. Lui è molto ricco e per Margaret sarebbe un disastro se egli la dovesse lasciare. Ma anche lui non intende disfarsi di una moglie che fisicamente è molto bella e dalla quale è attratto. Entrambi sono consapevoli di questa situazione, ma queste loro certezze fino a quando dureranno?
Ora hanno fatto questo viaggio in Africa, per un safari, che tuttavia non ha risolto i problemi della coppia. Anzi, Margaret non solo non ama più di tanto il marito, ora lo disprezza apertamente. Egli nel corso della mattina, durante una caccia al leone si è comportato da vigliacco. Wilson si rende conto della reazione della donna, e a sua volta mostra disprezzo per quei clienti, soprattutto americani, che scaricano le loro frustrazioni e le loro reciproche incomprensioni sulla caccia e quindi sulla sua persona.
Gli eventi del mattino sono stati disgustosi. Si doveva fare la caccia a un leone che aveva ruggito nei pressi dell’accampamento nel corso della notte, irritando e disturbando e forse anche spaventando Francis. I tre, armati dei relativi fucili, salgono in macchina e si dirigono verso il luogo dove con ogni probabilità si trova la belva. La trovano. Francis è invitato a scendere e a sparare, cosa che egli fa, ferendo, ma non uccidendo l’animale. Occorre allora cercarlo, con la consapevolezza che il leone ferito è pericoloso e sicuramente è in agguato per aggredire i suoi feritori. Francis, nel corso della ricerca non regge alla tensione della paura e a un certo punto, davanti al leone che si prepara ad attaccare, scappa a gambe levate. Sta a Wilson affrontare e uccidere definitivamente la belva. L’atto di vigliaccheria è alla base del grave senso di frustrazione in Francis e del disprezzo da parte della moglie, la quale per meglio manifestarlo, passa la notte col cacciatore bianco.
Francis si rende conto non solo della vigliaccheria compiuta, ma soprattutto che il disprezzo che più teme è quello di se stesso. Il tradimento della moglie, anziché alla vendetta, lo spinge a una reazione: prima ancora nei propri confronti che in quelli della moglie. Sembra rinascere a nuova vita. Lo stesso Wilson se ne rendo conto, e lo segue con attenzione. Il mattino dopo è prevista la caccia al bufalo. Si riparte e con la solita macchina scoperta i tre si dirigono verso il luogo dove i bufali si abbeverano. Francis ora è pieno di energia. La vigliaccheria del giorno prima è messa alle spalle, anzi è uno stimolo che gli dà grande carica. La caccia al bufalo è movimentata. I bufali vengono inseguiti. Tre di loro vengono colpiti. Due vengono uccisi, uno è solo ferito. Occorre stanarlo, anche a rischio di una sua carica distruttiva. Questa volta Francis è ansioso di affrontarlo. Scende dalla macchina e si avvia nella macchia dove il bufalo si è rifugiato. Al momento della carica, Francis spara, e anziché colpirlo sul naso, lo colpisce dove è protetto dalla corna. Nello stesso istante in cui il bufalo viene colpito una fucilata, sparata dalla moglie, uccide Francis. Wilson ha capito: la moglie si è disfatta del marito simulando perfettamente un incidente di caccia. E Wilson, nell’inchiesta che inevitabilmente seguirà, coprirà la donna.
Le nevi del Kilimangiaro. Anche in questo caso la vicenda si svolge nel corso di un safari. Il racconto è preceduto da un’annotazione sul Kilimanjaro. Si dice che sia la montagna più alta dell’Africa, con i suoi oltre 5.000 metri. I Masai la definiscono “la casa di Dio”. Vicino alla sua vetta è stata trovata la carcassa congelata di un leopardo. Nessuno sa che cosa l’animale stesse cercando a quell’altezza.
I protagonisti sono Harry e sua moglie Helen. Harry si è graffiato una gamba con un cespuglio spinoso mentre cercava di fotografare un branco di antilopi. Purtroppo, ha trascurato di disinfettare il graffio. Il graffio ha fatto infezione e successivamente l’infezione si è trasformata in gangrena. Per il colmo della malasorte il camion che avrebbe dovuto portare Harry in città per sottoporsi alle cure del caso, si è guastato. Harry ed Helen sono costretti a sistemarsi in un accampamento provvisorio, in attesa che un aereo mandato a chiamare, atterri e trasporti il ferito. Harry sa che la sua sorte è segnata. Avvoltoi, richiamati dal puzzo della gamba in gangrena, si affollano sempre più numerosi sugli alberi vicino all’accampamento. Anche le iene si fanno sentire.
Harry discute e litiga con la moglie, una donna ricchissima che l’ha introdotto in una società di persone benestanti e che l’ha coinvolto in una vita spendacciona, ma priva di un reale interesse. La donna lo ama, si preoccupa per la sua salute, va a caccia per procurare il cibo, ma non riesce a superare la barriera che Harry si sta costruendo attorno. Deliranti pensieri lo perseguitano. Immagini del suo passato si rincorrono. Avrebbe dovuto essere uno scrittore e raccontare le vicende della sua vita: la guerra sulle montagne, le vacanze sulle Alpi come sciatore, le amicizie, le donne, e soprattutto Parigi, la città dove più ha vissuto, la città dei discendenti dei martiri dalle mani callose della rivoluzione del 1870, ma anche la città delle strade bellissime e affollate, dei bistrot, dei negozi dove vendono il vino, e dove è nato e si è sviluppato l’amore più grande della sua vita, in una piccola casa dove la vita sembrava avere un senso. Poi i litigi, gli abbandoni, le riprese, le ricerche, fino alla definitiva scomparsa della fanciulla. E poi ancora la guerra in Turchia, i massacri di cui è stato testimone, i divertimenti nei locali dove si beveva, si ballava, ci si portava via le donne, si facevano risse. Tutte immagini che nel delirio affollano la mente di Harry, mentre la moglie cerca di calmarlo, di aiutarlo, di suscitare la speranza di un possibile prossimo arrivo dell’aereo che lo dovrebbe portare in salvo. Ma quello che fa maggiormente soffrire Harry è che tutte queste vicende della quali la sua vita è stata partecipe o testimone non hanno trovato spazio in un qualche racconto. Il suo talento di scrittore si è via via attenuato fino a scomparire del tutto nella vita agiata che l’ultimo matrimonio gli ha procurato, e nella quale non ha saputo fare altro che adagiarsi. E ora vorrebbe poter richiamare quella ricchezza di eventi, di pensieri. Forse è proprio in quella condizione che il suo talento defunto sta riaffiorando. Ma non c’è più tempo, non c’è più possibilità. La morte avanza, si siede accanto a lui, gli sale sul petto. Eccola comparire nel sogno. L’aereo arriva, ma il pilota non lo porta verso la città. Lo porta verso la vetta del Kilimanjaro, dove giace la carcassa del leopardo che lo sta aspettando.
Vecchio al ponte. Si tratta più che di un vero e proprio racconto, di una fotografia. Un ponte sull’Ebro. I fascisti stanno avanzando, e un fiume di gente lo sta attraversando per scappare: carri, camion, gente a piedi, etc. Sulla riva del fiume un vecchio coperto di polvere è seduto. L’ufficiale che ha il compito di controllare la situazione lo vede e gli parla. Il vecchio è stanchissimo, non riesce più a camminare. Dove prima abitava, i militari repubblicani gli hanno consigliato di prendere le sue bestie e andarsene. Le sue bestie sono l’unica sua risorsa e accudirle è il suo unico lavoro. Che bestie? gli chiede l’ufficiale. Sono poche: una gatto, due capre e quattro coppie di piccioni. L’ufficiale lo invita a riprendere la marcia, ma il vecchio sa che non potrà farlo. La sua stanchezza non glielo consente. E poi, magari, le sue bestie forse se la caveranno. Il gatto sa sempre badare a se stesso, e i piccioni, davanti al fuoco dell’artiglieria, scapperanno volando via. Questa è tutta la fortuna del vecchio.