IL SOSIA (Двойник), di Fëdor Dostoevskij (1845)
È il secondo romanzo dello scrittore russo. Dopo il grande successo di Povera gente, questo ebbe un esito alquanto deludente. Personalmente, tuttavia, devo dire che non l’ho trovato inferiore al primo romanzo, anche se siamo molto lontani dal fascino dei grandi romanzi che, successivamente, hanno dato allo scrittore fama che conosciamo.
La chiave di lettura del romanzo è specificamente psicologica. Jakov Petrovič Goljadkin, il protagonista è un piccolo impiegato in un’amministrazione pubblica. Come avviene dovunque, soprattutto nel pubblico impiego, il problema degli impiegati è quello di far carriera, e per far questo è necessario ingraziarsi l’amicizia e l’ammirazione dei superiori. Questa la si può ottenere con il lavoro ben fatto, ma anche con la coltivazione di un rapporto se non di amicizia, di buon vicinato; in questo senso è utile un contegno di persona seria, dal comportamento onorevole e abbigliata in modo appropriato. Goljadkin si dà da fare proprio in quel senso. Egli ha avuto ottimi rapporti con il consigliere di stato Olsufil Ivanovič Berendèev, suo benefattore, e della cui figlia, Klara Olsufievna è innamorato; lavora a stretto contatto di gomito con Anton Antonovič Setočkin , suo capoufficio, e sul lavoro ha anche rapporti variabili con i colleghi, in particolare con Andrej Filippovič, il caposezione degli uffici in cui il nostro lavora.
Ma la sua onorabilità sembra minata dall’azione di numerosi suoi nemici, che mettono in giro pettegolezzi e falsità su suo comportamento privato. O, perlomeno, questo è ciò che a Goljadkin appare in modo tale da compromettere la sua sicurezza. Fra le altre cose, viene messa in giro la voce di un suo degradante rapporto con una tedesca di bassa condizione sociale, Karolina Ivanovna. Ne soffrono le sue speranze di fidanzarsi con Klara Olsufievna, soprattutto per il fatto che su di lei ha messo l’occhio Andrej Filippovič, per il nipote Vladimir Semënovič. L’assillo dei nemici che lo sabotano è tale che Goljadkin sente la necessità di recarsi periodicamente da un medico, il dottor Krestjan Ivanovič. Tuttavia i rapporti non sembrano essere granché utili. Anziché ascoltare le prescrizioni che gli vengono fatte, Goljadkin, più che sulle proprie condizioni di salute, insiste sulla necessità di evitare gli agguati che gli tendono i propri nemici, sul proprio comportamento corretto e lineare che dovrebbe essere la sua principale difesa, si difende cercando di non reagire alle provocazioni che vede un po’ dappertutto.
Ma le cose non sembrano marciare per il verso giusto. In occasione del compleanno di Klara, in casa di Olsufij si fa una grande ballo, dal quale Goljadkin, introdottosi senza invito, a seguito di un comportamento messo in atto per provocare quelli che riteneva essere i propri nemici, viene estromesso in malo modo.
Le vicende di cui si sente vittima, e in particolare quest’ultima, particolarmente grave, lo turbano al massimo. In una delle sue camminate per le strade di una San Pietroburgo notturna, umida, fredda, avvolta nella neve, si imbatte in un personaggio che gli provoca ulteriore allarme. Esso ha la caratteristica di assomigliargli come una goccia d’acqua. Non solo, ma porta addirittura il suo nome e cognome. Questo personaggio ricompare il giorno successivo in ufficio, gentilmente accompagnato al suo stesso tavolo nientemeno che da Andrej Filippovič, che Goljadkin considera ormai il capofila dei suoi nemici.
Questo nuovo Goljadkin, Goljadkin junior la chiama lo scrittore, entra brutalmente nella vita del nostro Goljadkin, in certi momenti dichiarando amicizia o addirittura chiedendo protezione; in altri momenti assumendo un comportamento irrisorio nei suoi confronti e usando nei suoi confronti toni e atteggiamenti che ne minano nel profondo l’onorabilità. In ufficio si appropria di meriti suoi; in altre occasioni si appropria addirittura di suoi oggetti, lo costringe a pagare conti al bar o al ristorante in cui egli si è ampiamente rimpinzato, mentre in nostro Goljadkin non ha quasi toccato cibo o bevanda; e infine e lo provoca in continuazione a parole, ma anche a gesti (battutine sulla spalla, pizzicotti sulla guancia, linguacce, etc.).
La situazione diventa sempre più pesante. Goljadkin senior si sente investire da questo altro da sé, lo sogna, diventa il protagonista di veri e propri incubi: notturni, ma anche diurni. Non c’è alcun dubbio. Nonostante ogni tentativo del nostro di renderselo amico, di trattarlo con riguardo, il personaggio si identifica o porta in sé tutta l’ostilità dei numerosi nemici che sembrano perseguitarlo. Goljadkin lo vede far causa comune con Andrej Filippovič, lo vede adulare senza riguardo i suoi superiori, addirittura dimostrare vicinanza con Sua Eccellenza che sembra dargli incarichi riservati, laddove egli viene trattato con freddezza, noncuranza, e a volte addirittura ostilità. Si sente sempre più solo e inutilmente cerca di spiegarsi, di cercare aiuto fra i colleghi. Anche il suo servo Petruška arriva a trattarlo con sufficienza, e alla fine lo abbandonerà per cercare un nuovo padrone.
L’esistenza di questo sosia nella vita di Goljadkin si fa sempre più devastante. Vista l’inutilità di colloqui con i superiori al fine di spiegare la situazione, il nostro cerca aiuto scrivendo lettere che accusano il sosia di malvagità, che spiegano quanto l’impostore si stia impadronendo dei suoi meriti sul lavoro, etc. Tuttavia le lettere gli vengono restituite o addirittura in risposta gli vengono ribadite le accuse di mancanza di serietà, di comportamento scorretto, accuse che Goljadkin non riesce a capire e tantomeno ad accettare. Gli verrà recapitata perfino una lettera di licenziamento.
Nel mezzo di tutta questa tempesta sembra aprirsi un filo di luce. Goljiadkin riceve una lettera da Klara Olsufij nella quale la fanciulla dichiara di essere disperata, di essere innamorata di lui e di voler vivere con lui. Ma, sotto la pressione del malvagio Goljadkin junior, la sua famiglia vorrebbe farla sposare con Vladimir Semënovič, che invece ella odia. L’unica soluzione è quella di fuggire. Invita così il nostro Goljadkin a trovarsi pronto con una carrozza le sera stessa sotto la porta di casa e di aspettarla. Quella sera in casa Olsufij ci sarà una festa, ed ella, appena possibile, scenderà si unirà al nostro e insieme fuggiranno per vivere da innamorati in una capanna lontano da tutti.
La lettera sconvolge Goljadkin. Da una parte è la conferma degli intrighi del malvagio Goljadkin junior, e del fatto che la fanciulla della quale è innamorato, ricambia il suo amore; ma dall’altra questo invito alla fuga va contro i suoi principi, che vorrebbero un rapporto fatto di serietà, con il consenso dei genitori di lei. Questo sarebbe un comportamento onorevole e a questo il nostro decide di attenersi.
Il primo passo è quello di rivolgersi a Sua Eccellenza, e quindi si reca a casa sua per spiegare la situazione e ottenere un aiuto. Ma le cose non vanno nel senso desiderato. Sua Eccellenza non solo non lo riceve, ma lo tratta male, lo allontana mentre esce seguito dal codazzo di dirigenti e di adulatori fra i quali non manca il solito farabutto di Goljadkin junior. Questo è un nuovo colpo alla mente del nostro protagonista, che si trova in preda a grandissima agitazione in cerca di soluzioni sempre più fantasiose e sempre meno credibili, finché decide di affittare una carrozza e di recarsi davanti a casa Olsufij in attesa di Klara. Ma mentre aspetta nascosto dietro una catasta di legna, si rende conto che, dalle finestre illuminate, una folla di invitati sta puntando gli occhi nella sua direzione. È stato scoperto, e il Goljadkin junior scende a prelevarlo e ad accompagnarlo di sopra. Viene accolto con un senso di curiosità e di attenzione, finché nella casa arriva un nuovo personaggio, atteso da tutti: il dott. Krestjan Ivanovič. Così Goljadkin viene preso in consegna dal medico e accompagnato in una carrozza in attesa. La destinazione, fa capire lo scrittore, sarà una clinica per malattie mentali.
Il libro procede speditamente nel racconto, facendoci entrare nei pensieri e nella mentalità del protagonista, e rivelando l’ambiguità del suo comportamento e delle sue convinzioni che alla fine si rivelano essere quella di un malato mentale. Il sosia non può essere dunque che l’altro da sé, quello malato che finisce per assorbire completamente il sé originale. L’ambiguità dalla quale tutto il racconto è pervasa, a mio avviso, rende la vicenda interessante e ben raccontata.