PENE D’AMORE PERDUTE (Love’s Labour’s Lost) di William Shakespeare, 1593-96
Si tratta di una commedia considerata fra quelle eufuistiche. La trama è geometrica, e piuttosto semplice nello svolgimento. Molte delle scene sono scritte in rima, e la lingua è ricchissima di giochi di parole. Per questa ragione la traduzione italiana non riesce a rendere l’eleganza del testo e il suo stile. Tutto lo svolgimento della commedia ha un sottofondo ironico che tende a trasformare la vicenda più in un simbolismo che in un percorso.
Nelle traduzioni questi aspetti sembrano porsi in secondo piano, e alla fine l’interesse mi è parso abbastanza fragile.
La trama vede un re (di Navarra) e tre suoi alfieri che fanno solenne giuramento di passare tre anni dedicati esclusivamente allo studio e a bandire ogni forma di divertimento carnale: frequenti digiuni, dormite brevi e soprattutto allontanamento delle donne.
L’arrivo a corte della figlia del re di Francia, accompagnata da tre ancelle, per un impegno urgente col re di Navarra apre una contraddizione.
Il re e i suoi alfieri sono costretti a ricevere le fanciulle, ma non le fanno entrare nel palazzo reale. Esse dovranno soggiornare nel giardino del castello in tende fatte erigere apposta per loro. Questo impone il giuramento fatto.
I quattro personaggi maschili tuttavia si innamorano delle fanciulle: il re della principessa e gli alfieri delle ancelle.
Dopo una discussione collettiva fra i quattro, nella quale emerge la possibilità e infine la necessità di violare il giuramento, essi si recano alle tende dopo avere organizzato una festa di ricevimento sontuosa. L’obiettivo è quello di far la corte alle fanciulle.
L’accompagnatore francese, che svolge le funzioni di protettore, avverte le giovani dei progetti dei quattro uomini, che intendono presentarsi loro camuffati da russi e le avverte: non devono lasciarsi irretire. Le fanciulle allora decidono a loro volta di camuffarsi in modo che ogni uomo corteggi e faccia dichiarazione alla fanciulla sbagliata. Questo avviene, e i quattro uomini alla fine se ne escono per tornare poco dopo vestiti normalmente e cominciare il corteggiamento vero. Ma le fanciulle li deridono. In realtà esse li respingono, accusandoli di avere, sotto mentite spoglie, fatto la corte alla persona sbagliata. E per finire, non potranno mai accettare la corte di persone che hanno fatto un giuramento e che, con questi approcci, si stanno dimostrando spergiuri.
Mentre avvengono questi scambi, giunge dalla Francia la notizia della morte del Re. La principessa entra in uno stato di dolore e vuole ripartire subito con le ancelle. Il re e i suoi alfieri cercano di trattenerle, giurano che il loro amore è sincero e genuino e che sarà proprio l’amore ad attenuare il dolore della perdita del padre. La principessa allora accetta la corte a condizione che il re, per dimostrare i suoi veri intenti, trascorra un anno in un eremo privo di piaceri e di comodità. Allo scadere dell’anno, se l’amore sarà ancora presente, ella sarà sua. Altrettanto avviene nei rapporti fra gli alfieri e le ancelle.
Naturalmente nel corso degli eventi vi sono situazioni che stimolano piccole e argute complicazioni, sostenute da personaggi minori, sui quali soprattutto cadono i giochi di parole e le canzoni in versi rimati.
Anche fra i tre alfieri, uno di loro, Biron, si dimostra più sagace e più disposto all’ironia degli altri ed è quello che bene o male finisce di condurre il gioco. Sono appunto questi aspetti che, nella lingua originale, rendono vivace e divertente la commedia. Nella traduzione italiana, i loro sberleffi, la loro pronuncia, i loro errori linguistici e in fine i loro giochi di parole, vengono resi in modo da perdere gran parte della loro efficacia. Francamente, devo dire che la lettura della commedia mi ha piuttosto annoiato.
L’unica rappresentazione che sono riuscito a vedere, è stato il film diretto e interpretato da Branagh. Nel film, a parte le trasposizioni ambientali che possono, anzi, spesso sono interessanti e ravvivano il lavoro, la vicenda viene svolta come commedia musicale all’americana, con balletti e canzoni dei personaggi che, a mio avviso, pur ricuperando una certa vivacità, non hanno ricuperato nulla di ciò che è sostenuto dell’arguzia linguistica della commedia.