UCCELLACCI UCCELLINI, di PierPaolo Pasolini, 1966

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Si tratta dell’ultimo film in bianco e nero del regista. Dopo il Vangelo secondo Matteo questo film potrebbe essere interpretato come una parabola. Ovviamente una parabola moderna, che dal Vangelo trae i temi fondamentali che riguardano i rapporti fra gli uomini, e li sviluppa in una società dove i rapporti di classe sono conflittuali.

Protagonisti sono Toto Innocenti (Totò) e suo figlio Ninetto (Ninetto Davoli). I due percorrono una strada deserta in un paesaggio altrettanto deserto. Strada e paesaggio cambiano aspetto nelle varie inquadrature: a volte si tratta di una strada interrata, a volte di un’autostrada in costruzione, a volte una normale strada asfaltata costeggiata da squallidi caseggiati, da un bar dove giovani si scatenano in danze, da una casa d’abitazione circondata da una folla muta che guarda chissà che cosa e in attesa non si sa di che. Dove i due siano diretti non si sa. Una didascalia ci avverte: “Dove va l’umanità? Boh! È il succo di un’intervista di Mao a Mr. Edgard Snow”. I due, un po’ il simbolo dell’umanità che cammina, parlano fra loro di cose di tutti i giorni, senza importanza finché, strada facendo incontrano un corvo che li vuole accompagnare e che chiacchiera in continuazione elargendo consigli. Pasolini farà un avvertimento per chi avesse dei dubbi o si fosse distratto: il corvo impersona un intellettuale di sinistra, prima della morte di Palmiro Togliatti. È una definizione sotto la quale si avverte un ghigno di irrisione in rapporto all’astrazione di certe esternazioni del corvo più rispondenti a esigenze filosofiche che alla interpretazione della realtà umana.
Il corvo racconta un episodio che è un po’ l’aspetto centrale del film. Vediamo San Francesco nel corso della sua famosa predica agli uccelli. Una volta che l’ha terminata, chiama fra Ciccillo (sempre Totò) e fra Ninetto (sempre Ninetto Davoli) e li incarica di proseguire la predica: prima ai falchi, animali rapaci e aggressivi, poi ai passeretti, animali deboli ma pieni di vita. Fra Ciccillo sente la responsabilità dell’impegno e dopo un anno di meditazione nei pressi del rudere di un castello, i ruderi del Rivellino a Tuscania, durante il quale dal corpo gli spuntano rami come se fosse trasformato in un albero, riesce a mettersi in contato con i falchi. Con grande efficacia, trasmette loro il messaggio di Dio, che culmina in un messaggio d’amore. Anche per i passeretti fra Ciccillo si impegna al massimo, ma qui insorgono delle difficoltà. Intanto fra la gente del luogo si sparge la voce che un santone prega inginocchiato e immobile, capace di fare miracoli. Allora vecchiette di vario tipo prima, poi saltimbanchi, venditori, giocolieri e perfino una processione giungono a far visita al frate orante. Tutti finiscono per fare una gran caciarra e disturbano la meditazione di fra Ciccillo. Come Cristo nel tempio, egli allora scaccia a frustate la folla indisciplinata e riprende al pregare. Ma i passeri, nonostante gli abili cinguettii di fra Ciccillo e di Ninetto, sembrano non capire. Ad un tratto la rivelazione. I passeretti non comunicano con i cinguettii, ma con i saltelli. Così anche i passeretti vengono istruiti ed evangelizzati per credere nell’amore. L’ambiente dove fra Ciccillo predica ai passeretti è un colle nel comune di Tuscania, la cosiddetta acropoli con la chiesa di San Pietro, un gruppo architettonico medioevale di grande bellezza. I due fraticelli tornano festosi per dare la buona notizia a San Francesco, ma, strada facendo, vedono un falco che aggredisce un passerotto. Ecco, la scena ha come significato il fallimento del loro lavoro. Falchi e passeretti saranno anche evangelizzati nell’amore, ma appartengono a classi diverse, conflittuali, e fra loro è guerra eterna e morte reciproca. E questo, con grande delusione diranno a San Francesco, il quale li inciterà a non disperarsi e a ripartire da zero in una nuova evangelizzazione. Così il corvo, attraverso questa parabola, trasmette a Toto e a Ninetto la saggezza dell’intellettuale di sinistra.
Questa saggezza contrasta con la realtà. Totò e Ninetto, continuano il viaggio, e si imbatteranno nei vari aspetti di questa realtà: per esempio una furibonda lite per il possesso di un piccolo appezzamento di terra; il rigore con il quale Totò padre e Ninetto figlio impongono di pagare l’affitto a una poverissima donna che vive in una catapecchia di loro proprietà, e che non può dare da mangiare nemmeno ai suoi figli. Alle osservazioni della donna sulla sua estrema povertà, la risposta è gelida: “business is business” dirà Totò, pasticciando un po’ colla pronuncia. Il viaggio dei due continua. Incontrano una troupe di attori girovaghi, in difficoltà col loro mezzo di trasporto. La prima donna della troupe e incinta e fra gli applausi generali dà alla luce una bambina. Poi si arriva a un convegno di dentisti dantisti che discutono in modo approfondito su temi del tutto inutili. Alla fine, giunti a Roma, fanno visita a un loro ricco creditore che pretende una restituzione che essi tuttavia non sono in grado di affrontare: anche qui, come per la vecchietta, ma in senso invertito, trionfa la regola del business is business con relative minacce legali.
È il giorno dei funerali di Togliatti, al quale i due viandanti partecipano, assieme a centinaia di migliaia di persone. Il film indugia sulle immagini originali che numerosi telegiornali dell’epoca hanno trasmesso, nelle quali si vede la immensa folla che ha seguito e salutato il feretro del segretario, mentre personaggi ben riconoscibili del Partito Comunista e del Partito Socialista, come Amendola, Longo, Nenni e altri sfilano in silenzio. Un periodo cruciale della storia italiana si è chiuso. I rapporti di forza, le prospettive, l’ideologia dal quel momento sono destinate a cambiare. I due protagonisti tornano sulla strada per un ritorno non si sa dove; infatti il corvo, dopo un lungo e ripetitivo chiacchiericcio alle spalle dei due personaggi, avvertirà che il cammino incomincia e il viaggio è finito.
Dopo l’incontro con una bellissima puttana (Femi Benussi) seduta ai margini della strada che dà ai due personaggi le sue preziosissime prestazioni, essi si stufano del blaterare del corvo che, ormai dopo il funerale di Togliatti, non ha più nulla da dire, e decidono di mangiarselo.
Il film, dal punto di vista della fotografia ricorda molto il Vangelo secondo Matteo, con i primi piani della gente comune che i due incontrano strada facendo, volti grandemente espressivi non per recitazione ma per natura, che esprimono una umanità che lavora, che si diverte, che guarda, che capisce a suo modo. E ricorda anche i film precedenti, come Mamma Roma, con le immagini di vaste campagne incolte, paesaggi ricchi di ruderi antichi, periferie di grandi città con lo sfondo di caseggiati più o meno popolari. I luoghi dove il film è stato girato sono: Assisi, Tuscania con i ruderi del Rivellino e l’acropoli di San Pietro, e Roma, e in particolare l’area attorno a Fiumicino, dalla quale si vedono aerei andare e venire, atterrare e decollare.
Il film interpretato in modo straordinario da Totò che utilizza la sua inarrivabile mimica facciale per esprimere tutti i significati, più o meno espliciti della parabola, accompagnato da un Ninetto Davoli che gli fa da degna spalla. Personalmente l’ho trovato un film denso, importante, e soprattutto coinvolgente.

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