SOFFIO (Soom), di Kim Ki-duk, 2007
Una coppia in crisi. Il marito ha un’amante. La moglie, Yeon, ne è a conoscenza, e questo l’allontana da lui. Si sente sola, depressa. Lavora come scultrice, e trascorre il tempo davanti alla televisione. Una notizia attira particolarmente la sua attenzione: un uomo condannato a morte per avere ucciso moglie e figlia, ha tentato il suicidio nella cella situata nel braccio della morte. Il suo nome è Jin Jang.
Egli, nella cella, vive con altri detenuti. Fra di loro vi sono rapporti di strana natura: amicizia, ma non solo. Con uno in particolare il rapporto ha aspetti quasi di tipo amoroso. Il contatto fisico, soprattutto durante il sonno, ne è un’evidenza. È stato proprio il rapporto con gli altri detenuti che ha salvato la vita al condannato, il loro tempestivo richiamo e il pronto ricovero in ospedale. Jin, a seguito del taglio alla gola che si è inferto, ha perso la parola.
Yeon è perplessa. Sente nel suicida una disperazione, e pensa alla propria. Vorrebbe conoscere quell’uomo, ne immagina le sofferenze, il bisogno di aiuto, che è poi lo stesso suo bisogno. Il marito capisce lo stato d’animo della moglie, e lo vuole contrastare impedendole di guardare oltre il servizio televisivo. Ma Yeon prende una decisione. Esce durante la notte, si reca al carcere e chiede di parlare col detenuto. Dopo un iniziale rifiuto oppostogli dai sorveglianti, il direttore del carcere, che vede la giovane su uno schermo televisivo mediante una fotocamera, forse capisce le sue intenzioni, e dà ordine di lasciarla passare e di lasciarla incontrare con Jin.
Jin non conosce la donna, ma ella stabilisce subito un contatto con lui raccontando una sua disavventura in tempi remoti. L’approccio che ne risulta è il silenzioso incontro di due disperazioni. Un capello che egli le strappa e tiene fra le dita è il filo conduttore che le unisce.
Nella cella comune i suoi amici-colleghi capiscono che Jin non è più solo, che la loro presenza come suoi salvatori sta per essere sostituita da qualche cosa di estraneo. Gli strappano dalle mani il capello.
Yeon torna a casa. Il marito finge di essere preoccupato per il comportamento della donna, ma una telefonata dell’amante lo riporta alla realtà, alla sua realtà.
Yeon torna al carcere. È primavera. Yeon ricostruisce, con fiori e tappezzerie fotografiche che incolla alle pareti, l’ambiente primaverile esterno. C’è gioia e allegria quando il detenuto arriva. Yeon, accompagnata da una radiolina canta una canzone allegra: è arrivata la primavera. È l’allegria con la quale una disperazione cerca di attrarre l’altra, fare in modo che le due disperazioni si incontrino e si vincano reciprocamente. Le due facce si avvicinano fin quasi a baciarsi. Ma il bacio non ci sarà. Il direttore del carcere vede tutto attraverso la telecamera, e fa interrompere il colloquio. Yeon fa appena tempo a donare a Jin la fotografia di lei bambina.
Ancora una volta il ritorno di Jin in cella provoca la reazione dei compagni. La fotografia è la prova che egli sta sfuggendo al loro aiuto, e si ribellano. Sono loro che gli hanno salvato la vita, sono loro che lo amano veramente.
Yeon prosegue. Fa una nuova visita a Jin. Siamo ormai in estate. E come la prima volta, anche ora si attrezza per trasformare la stanza del colloquio in un ambiente esterno. L’ambiente è il mare, una spiaggia, e la canzone è un richiamo alle vacanze estive. Anche in questa occasione la sensibilità di Yeon la porta fuori di sé, in ricordi tristi che si raffigurano come sofferenza presente. Come in precedenza, la vicinanza dei due si conclude con un bacio, che questa volta va a segno. Ma dura poco. Anche in questa occasione il campanello suonato dal direttore che continua a osservare, pone fine al colloquio. Anche in questa occasione c’è l’episodio della fotografia, che la donna dà a Jin, e che i suoi compagni di cella gli strappano e addirittura ingoiano.
Il marito si sente sempre più sotto pressione. Capisce che i viaggi della moglie hanno ha che fare con il carcerato. Quando per la terza volta Yeon si reca alla prigione, questa volta con i colori e i paesaggi dell’autunno, il marito la segue di nascosto. Come nelle volte precedenti, dopo la canzone, i due si lasciano trasportare dall’attrazione reciproca, e questa volta il bacio è prolungato e pieno di passione da entrambe le parti. Il marito si fa ricevere dal direttore, il quale non esita a mostrargli la scena che si sta svolgendo fra i due.
Quando la moglie esce, il marito le si avvicina e le strappa la fotografia che Yeon intendeva dare a Jin.
Ora il rapporto gli è chiaro. Il marito si rende conto che la moglie ha bisogno di un’alternativa che egli non è stato in grado di offrirle. Si sente umiliato. Interrompe la relazione con l’amante e fa capire alla moglie che intende ricuperare con lei il rapporto che per lungo tempo li ha resi felici. Impone alla moglie di non vedere più il carcerato. Per completare l’opera, questa volta si reca lui dal carcerato e lo avverte: la moglie non verrà più a trovarlo. Gli passa la fotografia che non gli era stata consegnata nell’ultima visita. C’è il ritratto di lei nuda.
Ancora una volta nella cella si scatena il fin di mondo, e Jin, davanti alla prospettiva di non vedere più la donna tenta un’ennesima volta il suicidio.
Viene salvato in extremis, e, a scanso di ulteriori tentativi, viene deciso di anticipare l’esecuzione al giorno successivo. Yeon apprende la notizia per televisione, e si reca per l’ultima volta a trovare il detenuto. È inverno. Inutilmente il marito cerca di convincerla a desistere. Allora, assieme alla figlioletta, le segue con la macchina. Marito e figlia aspetteranno Yeon fuori dal carcere facendo pupazzi di neve. I pupazzi son tre e sembrano stringersi gli uni accanto agli altri: una evidente allegoria. Questa volta l’incontro di Yeon e Jin è spinto al massimo. I due fanno all’amore. È il culmine, l’incontro e nello stesso tempo l’annullamento delle due disperazioni. Jin torna in cella, dove i compagni lo attorniano in un’atmosfera di amore e dolcezza, e sembrano soffocarlo.
Yeon esce, corre incontro al marito e alla figlioletta e, davanti ai tre pupazzi, giocano a tirarsi palle di neve, ridono e, quando risalgono in macchina per tornare a casa, cantano una canzone: la canzone dell’amore ricuperato.
In sostanza tutto il film si svolge nella ricerca di riuscire a offrire felicità o, meglio ancora, una speranza a una persona che, se lasciata a sé avrebbe atteso la morte nella più terribile atmosfera della disperazione. Ottenere questo sembra sia stato possibile con l’offrire a questa persona la propria disperazione, che a sua volta, l’incontro sembra essere in grado di far superare.
Una donna e un amico, con percorsi diversi ci provano donandosi reciprocamente le proprie disperazioni, e, forse, ci riescono.
Da notare come in questo film il regista richiami il filo conduttore delle quattro stagioni, come è avvenuto già in Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera.