L’ESTRO QUOTIDIANO, di Raffaele La Capria

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La Capria ripensa, all’età di ottant’anni, ad alcuni episodi della sua vita recente e meno recente. E farlo a ottant’anni non significa solo ricordare, ma significa farlo con la consapevolezza che il tempo scorre; che il punto di vista con il quale si guardano le cose cambia, a volte in modo doloroso; tante cose arrivano a ricordarci che il lungo percorso della vita scandisce le sue ultime battute. La folla degli amici con i quali si condividono ricordi di giorni felici, si va gradualmente diradando; la morte diventa più che una possibilità, una realtà. “Io non ci penso direttamente, dice La Capria, però la morte è come un arrière pensée che sta sempre sullo sfondo.” Leggere pagine come queste mi ha fatto immedesimare molto: il procedere nell’età evidentemente ci porta tutti quanti a condividere quel senso di “fine” delle cose che fa capolino in ogni momento. La gioia di guardare una bella ragazza, per esempio, è raffreddata dalla consapevolezza che lei non solo non ti guarda, ma proprio non ti vede, non esisti proprio.

Eppure quante emozioni vi sono state nel passato. La Capria le ricorda, quasi a volo d’uccello: i suoi due matrimoni, soprattutto il secondo, con Ilaria Occhini, l’occasione di conoscere e frequentare due persone che nella storia d’Italia hanno lasciato una traccia, sia pure partendo da ideologie opposte: Ernesto Rossi, zio della prima moglie, il grande antifascista allievo di Salvemini; e Barna Occhini, padre di Ilaria, fascista idealista e coerente al punto di schierarsi, al tempo della  Repubblica di Salò, con la parte certamente perdente, e di criticare con una memorabile lettera lo stesso Mussolini per i suoi cedimenti alla prepotenza barbara dei nazisti.

Considerazioni su fatti recenti e della sua vita passata mostrano un La Capria cha da una sinistra ideologicamente intransigente, viene via via scoprendo la forza della ragione e della critica, e assieme ad essa la forza degli affetti.

“Gli avvenimenti li seguo a modo mio […] né mi sento investito dal cielo a dire la mia su tutto estraendo la radice quadrata dai fatti del mondo per trasformare l’ideologia in odiologia.”

Così l’orrore per la feroce dittatura di Saddam Hussein non va disgiunto dall’orrore della guerra scatenata dagli americani, dalla propaganda mediatica (come ad esempio tutta la grottesca procedura propagandistica dell’abbattimento della statua del dittatore) per fare apparire giusto ciò che giusto non è.

La forza degli affetti si incarna oltre che nelle persone, fanciulle conosciute in gioventù, come Annamaria, il primo amore ancora infantile, Ilaria, le due figlie Roberta, nata dal primo matrimonio, e Alessandra (figlia di Ilaria), nelle case dove ha abitato: due in particolare, il palazzo San’Anna a Posillipo, l’abitazione della sua giovinezza, dove da ragazzi si andava a fare il bagno alla mezzanotte; e la villa acquistata e fatte restaurare a Capri, in alto sulla costa a fronte dei Faraglioni, circondata dalla ridente vegetazione mediterranea.

Tante, tantissime sono le annotazioni che riguardano il passato e il presente, e tutte riferite con il tono pacato, leggermente ironico, falsamente saggio, ma sinceramente confidenziale di una persona che nel momento in cui cerca di trarre dei bilanci, si rende conto della loro inutilità, e sorride raccontandoci.

A ottant’anni non si hanno speranze o progetti. Vi è solo un presente da vivere con intensità. Vi sono solo “belle giornate” che non si possono e non si devono lasciar scappare in funzione di un futuro per definizione incerto. E così La Capria ci racconta della malattia alla quale si è ribellato e che, proprio in grazia a tale ribellione, ha sconfitto. E la ribellione è stata rifiutare l’urgenza di un intervento chirurgico ad esito incerto, per trascorrere un estate “bella giornata”, assaporare ancora una volta la vita, prima di abbandonarsi all’incertezza delle deformità o addirittura della morte. E questo ritardo provvidenziale ha poi consentito ai medici di modificare in benigna una diagnosi che si presentava con i crismi della malignità.

Fra le pagine di questa colloquiale confessione, si insinua, lentamente ma in modo sempre più avvincente la storia d’amore fra Giovanni, il suo vero amico fin dalla giovinezza, e Kiki la bellissima donna frequentatrice dell’alta società. Storia d’amore dolce e struggente, infelice come tutte le vere storie d’amore, nata sulle macerie di due fallimenti sentimentali, e a sua volta rovinosa e distruttiva fino alla definitiva separazione, alla morte di Giovanni e alla triste cerimonia della sua cremazione con l’ultimo addio di Kiki.

 

Ho letto il libro con grande piacere e immedesimazione. E’ vero che ora ho appena compiuto i settant’anni mentre La Capria scrive il libro quando ne ha già compiuti ottanta. Ma molte delle considerazioni sulla vita, sulla curiosità del dopo, sulla nostalgia del prima, sul senso di solitudine che lasciano le morti degli amici, dei conoscenti, delle persone della propria fascia di età, le provo anch’io. Ed è stato grande il mio interesse nel leggerle e nel trovarle condivise.

Forse per questo motivo, forse perché lo stile di Raffaele La Capria è piano, colloquiale, leggero, mai saputo, il libro, anche se non può essere definito di per sé un racconto o un romanzo, è decisamente bello e credo che abbia ben meritato il premio Viareggio per il 2005.

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