ELEKTRA, alla Scala

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Serata straordinaria di grandissima intensitaà. L’Elektra è un’opera che non dà un istante di tregua all’ascoltatore. Per un’ora e tre quarti la musica si impadronisce della tua attenzione, penetra nella tua sensibilità, agita la tua coscienza nell’inseguire le deliranti esasperazioni della protagonista.

Nell’opera non accade praticamente nulla. Le azioni che importano, o fanno parte dell’antefatto (assassinio di Agamennone) o avvengono fuori scena (la vendetta di Oreste). Tutta l’opera è incentrata sull’esplodere delle passioni. Dare una dimensione drammaturgica alle gestualità corporee dei protagonisti presenti sulla scena è un’impresa quasi disperata.

Ronconi, in questa messa in scena (la stessa del 1994) ha preferito gestire drammaturgicamente quella che nel libretto d Hofmannsthal viene descritta come scena unica, modificandola continuamente con cambiamenti a vista, facendo scorrere le quinte e mostrando sfondi simbolici dell’agitarsi delle passioni della vicenda, anche se a volte espresse con un crudo iperrealismo: vedi ad esempio la scena del duetto Clitennestra-Elettra in cui Clitennestra è terrorizzata da incubi notturni, rappresentata dall’interno di una macelleria, con piastrelle biance sporche di sangue e quarti di bovini appesi al soffitto. Oppure il passaggio di persone vestite da macellaio, che conducono vitelli e buoi lungo un corridoio illuminato sullo sfondo, inquadrato da grandi finestre rettangolari aperte nelle mura del palazzo, con splendido effetto di tridimensionalità: commento visivo ad una musica di grande tensione emotiva.

Il canto è reso soprattutto attraverso ariosi declamati che quasi mai 
assumono la rotondità della melodia. Le voci sono sostanzialmente 
femminili: due soprano e un mezzo. Il loro timbro si intreccia 
strettamente con i timbri orchestrali. È l’orchestra che dà intensa 
espressione a questi declamati: un’orchestra timbricamente molto ricca, 
con dissonanze ricercate e stridenti, dinamica molto ampia, accordi e 
armonie incalzanti. 
E bisogna riconoscere che Bichkov ha saputo rendere tutto ciò con 
grande immedesimazione. A differenza della lettura di Sinopoli (che 
avevo ascoltato nel 1994) che tendeva a cedere nella ricerca del bel 
suono, Bichkov ha preferito puntare tutto sulla drammaticità e 
sull’intensità delle passioni. E secondo me con un risultato nettamente 
più emozionante.

Il suo lavoro e’ stato perfezionato dalle tre cantanti: la Polaski nel 
ruolo del titolo è stata di una forza interpretativa veramente 
eccezionale. Il suo monologo iniziale (“Allein!“) mi ha fatto correre i 
brividi lungo la schiena. Alla sua altezza debbo dire che sono state 
anche la Schwanewilms nel ruolo di Crisotemide, e la Felicità Palmer nel 
ruolo di Clintennestra. 
Questo ruolo fa pensare a quei ruoli drammatici di donne anziane e in 
rapido decadimento fisico, come la contessa nella Dama di Picche, la 
prima superiora nei Dialoghi delle Carmelitane, o Erodiade nella Salome.

Le voci maschili hanno un ruolo relativamente secondario: Oreste Alfred 
Walker, e Egisto Robert Brubaker. Esecuzioni senza infamia e senza lode.

Il pubblico è stato fortemente coinvolto dall’opera e dalla sua 
esecuzione (peccato che in sala ci fossero molti posti vuoti), e ha 
riservato alla fine un applauso entusiasta, che per la Polaski si è 
trasformato in vera ovazione.

 

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