LA LINDA DI CHAMOUNIX, alla Scala

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Sulla Linda scaligera credo che sia stato detto tutto. Ma io l’ho 
vista solo ieri sera, e quindi solo ora posso riferire le mie 
impressioni. 
Per queste chiedo preventivamente scusa a Riccardo, Isidoro, Giovanni 
C. e a tutti i vociologi e amanti del “bel canto”. 
Dunque.

Libretto. Drammaturgicamente inconsistente, personaggi di carta pesta, 
situazioni improbabili, vicenda frusta e logora. La pièce di Dennery 
(opportunamente e integralmente pubblicata sul programma di sala), 
dalla quale è stato tratto il libretto, non è certo meglio. Solo che 
Rossi, da esperto librettista, ci ha messo del suo. E questo suo 
consiste nella bellezza di un’ottantina di “ah!” che infiorettiscono 
(sic) l’orribile italiano.

Musica. Formalmente opera ricchissima di arie, duetti (basso-baritono, 
baritono-tenore, tenore-soprano, soprano-mezzosoprano, e via 
duettando all’infinito). Cavatine, cabalette si sprecano. Molte 
melodie, ma tutte scontatissime. Per intenderci melodie che entrano in 
un orecchio e escono dall’altro. Mai un attimo di emozione, una 
sorpresa. Tutta l’inventiva di Donizetti si scatena in scontate e 
monotone modulazioni alla fine dell’aria o dell’insieme. Duetti 
d’amore, canti di solitudine, di angoscia, sempre con melodie che 
potrebbero benissimo riferirsi ad altre vicende, ad altre scene, ad 
altre parole, magari di segno opposto. Andrebbero bene lo stesso. 
Noia.

I personaggi. Tutti di cartapesta. Solo due personaggi, a mio avviso, 
manifestano un briciolo di umanità: Pierotto, con la sua ballata (ma 
quale abisso con la ballata di Senta! Entrambe le ballate dovrebbero 
essere il cuore delle rispettive opere, ma… ogni commento è 
superfluo). L’altro è Antonio, il padre, soprattutto nel secondo e 
nel terzo atto. Il personaggio è scontato (il padre che si sente 
oltraggiato), ma in quest’opera abbastanza plausibile (musicalmente, 
intendo).

Lo spettacolo. 
L’allestimento è stato molto disprezzato. In realtà non era un 
granché, ma qualche idea c’era, anche se da un punto di vista 
dell’occhio le scene lasciavano molto indifferenti. Everding ha voluto 
una stilizzazione. Questo poteva non essere sbagliato, ma avrebbe 
dovuto essere gradevole. Io non l’ho trovato gradevole, ma, sotto 
certi aspetti, scostante. Il secondo atto, poi, con la quadreria 
ripetuta tre volte, e tre volte il divano su cui stava per compiersi 
il sacrificio di Linda, molto fuori tono con il resto. Contrasto fra 
l’ambiente sano della Savoia e quello malsano di Parigi? Questa 
immagino sia stata l’intenzione di Everding. Ma questo contrasto non 
entra né negli occhi, né nell’emozione.

L’orchestra. Lato positivo. L’orchestra ha suonato molto bene. Fischer 
l’ha diretta magistralmente (probabilmente le rappresentazioni 
precedenti hanno consentito a Fischer di superare l’handicap di non 
aver potuto provare, data la repentina necessità di sostituire 
Abbado).

I cantanti. 
Dico subito che mi è piaciuta moltissimo la Oprisanu. Voce calda, 
pastosa, morbida, suadente, non fortissima. Canto vero. Forse anche 
perché il personaggio di Pierotto è l’unico ad avere un briciolo di 
umanità, la Oprisanu l’ha fatta sentire tutta. Bravissima! 
Ugualmente mi è piaciuto Michael-Moore. Baritono intenso, dotato di 
bellissima voce, che sa cantare e ha dato al personaggio di Antonio la 
giusta tensione, quasi riuscendo a farmi piacere la bruttina aria del 
primo atto. 
Sabbatini. Tenore dal bel timbro di voce, purtroppo troppo spesso 
coperta dall’orchestra. Mi piacciono moltissimo i suoi smorzando, che 
lo portano ad emettere il classico fil di voce. L’avevo sentito nel 
Faust, e già allora mi era piaciuto. Qui confermo ciò che di lui 
avevo pensato allora. Naturalmente, poiché il personaggio è di 
cartapesta, è difficile esprimersi sulla sua recitazione. Cartapesta 
è, e cartapesta è rimasto. 
Il buffo. Una caricatura non solo del personaggio, ma anche del ruolo 
di buffo, e di se stesso e del cantante. Nell’opera vorrebbe 
alleggerire le tensioni della situazione drammatica. Ma siccome io di 
situazioni drammatiche proprio non ne ho viste, evidentemente non 
sentivo proprio il bisogno di questi alleggerimenti. Grottesco 
l’ultimo suo intervento al risveglio di Linda, alla fine dell’ultimo 
atto. Però devo dire una cosa: nel duetto del secondo atto, con 
Linda, nelle melodie, e soprattutto nell’accompagnamento orchestrale, 
alcune sortite dei corni, mi hanno fatto pensare al Don Pasquale (che 
invece è un’opera che mi piace moltissimo). 
Senza né lode né infamia gli altri personaggi, se non il Prefetto, 
particolarmente brutto.

E ora l’Edita! È la prima volta che la sento dal vivo, e ne sono 
uscito sconvolto. Mai avrei immaginato che si potesse giungere a 
tanto. Ha cantato (si fa per dire), trillato, gorgheggiato, infiorato, 
glissato, abbellito, risucchiato, vomitato tutto ciò che c’era di 
scritto, di non scritto, di pensato, di non pensato, di immaginato, di 
sognato (ma parlerei più di incubi) nelle partitura. Una cosa 
straripante, dilagante, inondante, soffocante. Puro funambolismo 
vocale. Al confronto i giocolieri cinesi, quelli coi piattini sulle 
canne di bambu, o quelli che fanno roteare le palle (absit inuiria 
verbis) con le mani, coi piedi, sotto le gambe, dietro la testa, sono 
dei dilettanti. Un vero e proprio circo. Non c’era più la Linda, 
l’amore (se mai ci fosse stato), la pazzia, Donizetti, il direttore 
d’orchestra, l’orchestra, gli altri cantanti, l’opera! No! C’era solo 
lei, la divina, la sublime, la diva (non troppo casta per la verità). 
Dio, che squallore! È questa l’opera italiana? È questo il bel 
canto? Se è così, la prossima volta vado a vedere il Milan. E il 
puibblico affascinato, in delirio. Mah! Una voce circolava per il 
teatro: Abbado (Roberto) non era affatto malato, come comunicato 
ufficialmente. Ma se n’era andato proprio a causa di LEI, la 
superEdita. L’ho capito, ed è cresciuto a dismisura nella mia stima. 
Bravo Roberto!

Concludo. Per me l’opera è azione drammatica. Vi è certo spazio per 
infiorettature (quelle generalmente scritte o consigliate dal 
compositore). Anche in questo caso si è sempre nel teatro. Il 
personaggio comunque deve vivere sulla scena, deve dare l’emozione dei 
propri sentimenti (per quanto fasulli possano essere come nel caso 
della Linda). Se questo non avviene non siamo più in teatro siamo al 
circo. E questa è l’impressione che mi ha trasmesso l’Edita di 
Chamounix ieri sera. Con buona pace di Akira Nakamura e alla sua 
incontrollobaile passione per questo… soprano?

Ric, Isidoro, Giovanni etc. Vi chiedo perdono. Non lo farò più. Ma 
almeno una volta lasciatemi sfogare contro queste manifestazioni di 
cattivo gusto.

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