PIKOVAJA DAMA dell’Helikon Opera, a Ravenna

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La seconda opera della piccola stagione russa di Ravenna: per me è 
stata la prima volta in teatro, anche se la conoscevo per avere 
ascoltato e visto diverse esecuzioni in CD o in DVD. 
Grande quindi è stata la mia sorpresa (e all’inizio anche il mio 
disappunto) quando mi sono reso conto che la messa in scena dell’Helikon 
si discostava non poco dalla versione originale.


In primo luogo i personaggi sono solo cinque: di fatto i tre 
protagonisti (Herman, la Contessa e Liza) e due comprimari (il conte 
Tomskij, Il principe Eleckij). Questi ultimi, immagino, a causa sia 
della loro necessaria presenza nel bellissimo quintetto del primo atto, 
sia per i bellissimi e drammaturgicamente importantissimi interventi: Il 
racconto di Tomskij (primo atto) e il canto dell’amore deluso del 
principe (secondo atto). Poi sono state tagliate tutte le scene che 
potremmo definire di descrizione ambientale: nel primo atto, il coro dei 
bambini, il coro delle balie; il coro delle amiche di Liza e 
l’intervento della Governante; nel terzo atto tutta la parte del coro 
dei giocatori e della partita, limitandosi la scena al monologo 
conclusivo di Herman. Inoltre tagli minori hanno riguardato gli 
interventi dei personaggi soppressi, non indispensabili comunque 
all’azione scenica e allo sviluppo drammaturgico.

Parlavo di mio disappunto iniziale. Certamente, dopo averla ascoltata e 
vista diverse volte in diverse edizioni, La dama di picche (come ogni 
altra opera, credo) si cristallizza nella memoria e nell’immaginario, e 
deviazioni da questo finiscono per stridere malamente e provocare una 
reazione di rigetto.

In questo caso, tuttavia, a torto. L’operazione interpretativa (del 
regista e del direttore, che evidentemente hanno lavorato in stretto 
accordo) ha un senso ben preciso. E io non lo attribuirei tanto a ciò 
che il regista in un’intervista afferma, cioè la maggior fedeltà al 
racconto di Pushkin, quanto piuttosto all’intendimento di stringere gli 
eventi scenici essenziali attorno al nucleo centrale del racconto: il 
gioco e l’atmosfera erotica che scaturisce dall’azzardo. Scenicamente 
questo stringersi degli eventi viene raffigurato dalla presenza, al 
centro del palcoscenico, di un tavolo da gioco attorno al quale ruotano 
i cinque protagonisti nelle diverse vicende del racconto. È da notare 
subito il particolare che la vecchia contessa, in questa realizzazione, 
non è affatto un vecchia, ma una bellissima donna che si mette in 
aperta concorrenza con Liza per Hermann. E questo credo che sia 
l’elemento portante: ne scaturisce un rapporto triangolare Hermann, 
Liza, Contessa che si inscrive nel triangolo amore-erotismo-gioco e che 
porterà all’annichilimento dei tre personaggi.

I cinque protagonisti sono quasi sempre presenti sul palco, e quando 
l’evento scenico non li coinvolge, assumono una immobilità totale, 
diventano cioè “arredi scenici”. Ciò permette al regista alcune 
operazioni come quella che conclude la scena della seduzione nel secondo 
quadro del primo atto. La foga seduttiva di Hermann, indirizzata verso 
Liza, ad un certo punto, sul finale viene deviata verso la contessa che 
alla scena è presente solo in quanto “arredo scenico”, in totale 
immobilità. Cioè, la Contessa non entra nella scena a due, ma è 
presente nell’animo di Hermann come chiave per entrare nel gioco, e 
questa presenza ha una forte valenza erotica che il regista traduce con 
questo artificio. 
Analogamente le cose si osservano nella scena fra Hermann e la Contessa. 
La bellissima aria che la Contessa canta prima di addormentarsi non ha 
più solo il sapore di una reminiscenza lontana, ma quello di un vera e 
propria fantasia erotica che la prepara al successivo intervento di 
Hermann. E l’approccio di Hermann, come la risposta della contessa, di 
fatto finiscono per simulare un vero e proprio amplesso nel quale 
l’emergenza finale della componente “gioco” (tri carti, tri carti, tri 
carti!) provoca la morte della contessa. 
La scena si ripete, invertita, successivamente durante l’incontro fra 
Liza ed Hermann. In essa l’elemento erotico del gioco, soffocando il 
sentimento dell’amore, porta alla morte di Liza e poi, alla fine, alla 
morte dello stesso Hermann che, privato di due vertici del triangolo 
amore-erotismo-gioco, rimane beffato con in mano la carta della donna di 
picche, ossia la morte. In quest’ultima scena tutta la parte del gioco 
è stata soppressa. Herman è solo davanti al tavolo da gioco, e indossa 
un cappello da Jolly Joker e conduce un immaginaria partita che non 
porta da nessuna parte: “Cos’è la vita? Un gioco! Il bene e il male 
sono sogni vani”, così comincia il suo ultimo monologo, che lo porterà 
a scoprire la carta della dama di picche e quindi alla morte. Il 
triangolo si è così chiuso in modo definitivo.

Una impostazione di questo genere, affida al coro un ruolo quasi da 
tragedia greca. Il coro, negli interventi che non sono stati tagliati, 
non interferisce mai con gli eventi, ma si dispone quasi come una 
cornice, a volte quasi invisibile, sullo sfondo della scena, a volte in 
primo piano, mentre i protagonisti, attorno al tavolo da gioco assumono 
la ben nota immobilità. Episodi musicali particolarmente belli, anche 
se non strettamente intrecciati con l’asse portante del dramma, vengono 
risolti di volta in volta attraverso artifici: come per esempio la 
bellissima canzone di Polina che all’inizio sembra uscire da un 
grammofono tipo “voce del padrone”, ma che poi si rivela essere cantata 
dalla contessa; oppure il divertissement settecentesco in stile 
mozartiano del secondo atto, condotto in modo tradizionale.

L’esecuzione è stata di altissimo livello. Ottima la direzione 
orchestrale di Vladimir Pon’kin, ben affiatata l’orchestra, e splendidi 
i cantanti: Jaqueline Mabardi come Liza, Larisa Kostuk (sopra tutti, 
direi, sia come canto che come movenze sceniche) come Contessa e Vadim 
Zaplechnij come Hermann, anche se, devo confessare, che il suo timbro 
non mi ha particolarmente affascinato. È il timbro che risento in altri 
tenori russi, come Galouzine, Grigoriam, e che trovo molto opaco. Ma si 
tratta di una mia impressione personale.

Gli applausi del pubblico sono stati abbastanza convinti, ma, direi, 
meno entusiasti di quanto è avvenuto la sera prima alla Lady Macbeth.

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