MAVRA e KAŠČEJ BESSMERTNYJ dell’Helikon Opera, a Ravenna

La terza serata della piccola stagione russa di Ravenna ha offerto due opere: Mavra di Stravinskij e Kaščej bessmertnyj di Rimskij-Korsakov. Anche se il rapporto fra i due compositori è quello di allievo e maestro, le due opere sono molto differenti fra loro sia come drammaturgia che come musica.

 MAVRA

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Mavra è un’opera buffa, in un atto, ispirata a una poesia di Puškin, 
La casetta di Kolomna. Si tratta di una dei primi lavori nello stile 
neoclassico (la data di composizione è il 1921), e questo è molto 
facilmente percepibile all’ascolto: la struttura si basa sulla presenza 
di pezzi chiusi (arie, duetti, quartetti, oltre ad un’introduzione 
strumentale); le armonie, i ritmi, i timbri hanno quel sapore acidulo 
tipico dello Stravinskij di quel periodo, con un uso estensivo dei 
fiati, e soprattutto dei legni, che danno una aria di petulanza alle 
diverse situazioni in cui intervengono; con ritmi scanditi spesso in 
modo sincopato; con armonie dissonanti per dare agli aspetti comici un 
croccante sapore di freschezza.

La trama non è complessa: Paraša è una giovane fanciulla innamorata 
di un ussaro che non può fare altro che corteggiarla dalla finestra. 
Ciò suscita nei due giovani la volontà di trovare il modo di 
incontrarsi. Questo avviene in seguito alla morte della cuoca della 
famiglia di Paraša. La madre è preoccupata, si confida con la vicina. 
Cuoche brave e a buon mercato è difficile trovarne. Ma Paraša ci 
penserà lei. Corre dal suo ussaro, lo traveste da donna e lo presenta 
come la nuova cuoca, di nome, appunto, Mavra. I due giovani così hanno 
finalmente la possibilità di incontrarsi. Paraša e la madre comunque 
devono momentaneamente allontanarsi. L’ussaro-Mavra aspetta paziente, ma 
finisce per annoiarsi, e alla fine decide di farsi la barba. In quel 
momento rientra la madre, che a quella vista sviene. L’ussaro così 
scoperto fugge, fra i singhiozzi di Paraša.

L’aria più celebre è l’aria di Paraša all’inzio dell’opera. 
Stravinskij ne ha fatto anche un brano a se stante. Se lo stile musicale 
dell’opera è di tipo neoclassico, il clima e il sapore sono invece 
russi, così come lo è già all’inizio l’aria di Paraša, ma ancora di 
più il petulante ciacolare della madre con la vicina (i legni), o i bei 
duetti di Paraša con l’ussaro con spiritosi commenti orchestrali, o, 
alla fine l’aria dell’ussaro-Mavra, introdotta da un “dolce” assolo di 
tromba, che un accompagnamento basso, scandito, di sapore funebre rende 
decisamente comica, e che si concluderà col concertato finale.

La messa in scena ha sottolineato gli aspetti comici di una casa della 
piccola borghesia russa con tutti gli aspetti banali della vita 
quotidiana (biancheria stesa, tavolini per il the, ma anche per lavarsi, 
abiti delle donne particolarmente vistosi per uscire, e sciatti per 
stare in casa, etc.). Anche le movenze dei cantanti hanno contribuito, 
con una certa meccanicità quasi di tipo marionettistico, ad esaltare 
gli aspetti comici.

L’esecuzione musicale è stata eccellente, sia dal punto di vista 
orchestrale che da quello vocale. Gli interpreti principali: il 
direttore è sempre Vladimir Pon’kin, il regista sempre Bertman. Paraša 
Marina Karpečenko, l’Ussaro (Mavra) Sergej Balašev (che canta in un 
bellissimo falsetto sopranile le parti in cui recita la parte della 
cuoca), la Mader Ksenja Vyaznikova.

KAŠČEJ L’IMMORTALE

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Kaščej l’Immortale è una fiaba, tratta dalle antiche fiabe russe 
raccolte da Afanas’ev. Anche qui la trama è semplice: Kaščej (Nikolaj 
Dorožkin) è un mago cattivissimo che ha raggiunto l’immortalità 
nascondendo la sua morte in una lacrima della figlia Kaščeeva. 
Immortalità sicura, dato che la figlia ha un cuore di pietra, e ha il 
compito di uccidere tutti coloro che attentano alla vita del padre. Ma 
questa volta le cose non vanno per il verso giusto. Una principessa 
(Elena Voznesenskaja), prigioniera del mago, è invano cercata dal 
principe Ivan Korolevič (Oles’ Parickij) che vuole farla sua sposa. 
Ineluttabilmente tuttavia egli cade nel dominio di Kaščeeva (Larisa 
Kostuk). Kaščej invia il cavaliere della tempesta (personificazione 
del vento) dalla figlia per ordinarle di uccidere il principe. Ma 
assieme agli ordini del mago il cavaliere ascolta anche le suppliche che 
la principessa indirizza al principe. E il vento, si sa, ha proprio la 
testa al vento, e confonde i messaggi. Quindi quando arriva nel dominio 
di Kaščeeva trova che questa, irretita dalla bellezza del principe, 
anziché ucciderlo cerca di affascinarlo. E ci riuscirebbe, se non che 
il cavaliere, nel fare la sua ambasciata, a causa della confusione dei 
messaggi, ottiene come unico risultato quello di risvegliare nel 
principe l’antico amore. Il principe, con l’aiuto del vento raggiunge l’amata. Approfittando del sonno del mago, i due cercano di fuggire, ma 
Kaščej risveglia tutte le forze a lui fedeli e impedisce la fuga. I 
due amanti atterriti si baciano nel loro ultimo addio. Questo bacio 
viene visto dalla Kaščeeva che si era messa sulla tracce del principe. 
Commozione o forse gelosia le strappano qualche lacrima: ahimè, proprio 
in una di quelle lacrime è nascosta la morte di Kaščej che così 
crolla a terra defunto, mentre i due amanti sono finalmente liberi.

La musica è tipica di Rimskij-Korsakov, melodie belle, eloquenti, di 
intenso sapore russo, uso dell’orchestra sontuoso, con una 
orchestrazione ricchissima e molto descrittiva. Per esempio gli 
interventi del Cavalier Tempesta sono accompagnati da glissandi 
dell’arpa e di altri strumenti che danno realmente la sensazione di un 
vento  impetuoso; la musica che accompagna la presenza di Kaščej è 
una musica di timbro basso, misterioso, il canto della principessa da la 
sensazione di qualche cosa che si libra nell’etere, e così via.

La regia ha di fatto riportato in chiave visiva la fantasmagoria che si 
avverte nella musica. L’opera è in tre quadri: il primo è il terzo 
quadro si svolgono nel castello di Kaščej, il secondo quadro nel 
dominio di Kaščeeva. Il passaggio fra il primo e il secondo quadro 
avviene con una chiamata in causa da parte di Kaščej delle gusle 
magiche che intonano un coro: il regista ha dato a questo passaggio una 
valenza magica veramente molto bella. Mentre la luce del castello di 
Kaščej si va attenuando, le gusle magiche appaiono come ombre grigie 
avvolte in mantelli che ne nascondono il corpo e il viso. Davanti alla 
scena formano una quinta mobile, con i mantelli che, ondeggiando 
lentamente, finiscono per assumere una tonalità sempre più scura, 
quindi nera del tutto, tempestata da luci bianche puntiformi. La scena 
così scivola in una notte stellata nella quale si intravede l’ombra del 
cupo castello di Kaščeeva. L’effetto è veramente magico se si pensa 
che tutto questo avviene nel corso del bellissimo coro delle gusle, 
accompagnato da una musica iridescente. 
Ho citato questo passaggio, perché di tutta la messa in scena mi è 
sembrato il più significativo e francamente mi ha riempito di ammirata 
meraviglia.

Per il resto, direi che tutto, canto, orchestra, direzione, ha 
funzionato a dovere, come d’altra parte si era già visto nelle altre 
due serate. Sempre Ponk’in alla direzione dell’orchestra, e sempre 
Bertman il regista.

Come conclusione devo ammettere di aver scoperto le qualità veramente 
elevate di un complesso, come l’Helikon Opera, che, per quanto io ne 
sappia, in Italia è poco o punto conosciuto (almeno a livello del 
grande pubblico).

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