DER FLIEGENDE HOLLÄNDER, regia di Kupfer (DVD)

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Prima di recarmi al teatro degli Arcimboldi per vedere l’Olandese Volante ho voluto rivedere alcune registrazioni dell’opera. Quella che mi ha più colpito per la genialità dell’impianto registico, è quella diretta da Nelsson Woldemar con la regia di Harry Kupfer, di cui ho una edizione in LD della Philips, e che si rifà a una esecuzione a Bayreuth nel 1985.

Quella che mi ha più colpito per la genialità dell’impianto registico, è quella diretta da Nelsson Woldemar con la regia di Harry Kupfer, di cui ho una edizione in LD della Philips, e che si rifà a una esecuzione a Bayreuth nel 1985.

Gli interpreti principali sono Lisabeth Balslev come Senta, Simon Estes come Olandese, Matti Salminen come Darland e Robert Schunk come Erik.

L’idea di Kupfer è quella di valorizzare gli aspetti drammaturgici sostenuti da Carl Dahlhaus, che individua due piani distinti, musicalmente e drammaturgicamente: il dramma “interiore”, che coinvolge Senta e l’Olandese, e il dramma “esteriore” che coinvolge Daland ed Erik.

Dal punto di vista drammaturgico il nucleo dell’opera (molti critici, e lo stesso Wagner, più che un’opera o un dramma musicale, la considerano una ballata scenica) sta nel rapporto Olandese-Senta, i quali non obbediscono a una propria volontà, non entrano in un confronto dialettico, ma agiscono come strumenti di un destino. Daland ed Erik sono il background ambientale: Daland come personaggio ai limiti del basso buffo, che occupa con la sua ingombrante presenza la maggior parte del piano esteriore; Erik, l’innamorato di Senta, come sponda necessaria al compiersi del destino, con l’ultimo intervento dell’Olandese che respinge la dedizione di Senta dopo aver sentito l’appassionato appello di Erik.

La musica, il canto, il linguaggio del piano interiore “procede dalla declamazione espressiva del recitato accompagnato” (soprattutto nel duetto centrale fra i due); mentre quella dal piano esteriore tende all’aria tradizionale, al canto melodico, in più occasioni con carattere banale, se non addirittura triviale (vedi l’aria di Daland di presentazione a Senta dell’Olandese). Musicalmente i due piano sono molto bene avvertibili e non confondibili.

Kupfer riprende i due piani, secondo me con un colpo di genio registico: il piano interiore viene sviluppato come un “sogno” o una fantasia, o un mondo immaginario che proviene da Senta. E questo è portato in modo esplicito sulla scena: il vascello, l’Olandese si materializzano sulla scena con un aspetto irreale, onirico. Il piano esteriore è sostanzialmente rappresentato dal grande camerone della filanda, nel quale si sviluppano le scene della realtà, ma sul quale, di volta in volta, si innestano le scene oniriche.

Tutto il primo atto, l’episodio dell’incontro di Daland con l’Olandese, la richiesta dell’Olandese di sposarne la figlia, e l’accettazione, con tanto di invito da parte di Daland, sono immagini che si creano nella mente di Senta, la cui figura è presente sullo sfondo trasognata, e abbraccia convulsamente il quadro che ritrae l’olandese e che è alla origine della famosa ballata.

In realtà, si vedrà poi, Daland effettivamente durante il suo viaggio ha conosciuto un ricco signore, e gli ha promesso, per la normale avidità umana, in sposa la figlia. Qui c’è una specie di sovrapposizione dei due piani, onirico e reale, cosa che per esempio verrà ripetuta nel Lohengrin nel sogno di Elsa.

Il sogno prosegue poi nella seconda metà del secondo atto, dopo le scene reali del coro delle filatrici, della ballata e del duetto di Senta con Erik e il sogno di Erik (che sembra dare una conferma alla costruzione fantastica di Senta). Daland entra accompagnato dal personaggio, che nella mente di Senta (e sulla scena) si rivela come l’uomo del ritratto. Registicamente il personaggio reale (che è muto) lascia il posto al materializzarsi sulla sfondo, dell’Olandese e del vascello che non è più mostruoso come nel primo atto, ma splendente di fiori e di luce. Tutto il duetto, fino alla fine dell’atto si svolge nel segno dell’onirica immaginazione di Senta, mentre il personaggio reale è raffigurato da una silhouette senza vita che appare sulla sfondo.

Il sogno continua nel terzo atto, con una immaginaria festa nuziale; il coro (formato da persone tutte vestite di bianco e mascherate) canta la gioia degli sponsali, entrando poi alla fine in conflitto col coro invisibile dei marinai del vascello fantasma. Il sogno di Senta si interrompe bruscamente con l’entrata di Erik e con il suo accorato appello. Senta, anziché reagire e tornare alla realtà, si sprofonda ulteriormente nel desiderio di redimere l’Olandese (che poi è un desiderio di morte) e il sogno ricompare sotto forma del mostruoso vascello e dell’Olandese che respinge, per amore, il sacrificio di Senta, e riparte per le distese marine e le tempeste, ancora una volta sconfitto. Ma Senta ora traduce il sogno in un atto reale, e si getta dalla finestra per cercare quella morte il cui desiderio la perseguita fin dal preludio dell’opera.

L’ alternarsi scenico di momenti “reali” (la scena delle ragazze che filano, le discussioni con Erik, l’ingresso del padre e la presentazione dello straniero, e alla fine il suicidio di Senta) nei quali la scenografia è quella classica, tradizionale, il grande camerone della filanda, e che musicalmente e drammaturgicamente corrisponde al piano esteriore citato da Dahlhaus; e di momenti di sogno, nei quali la scenografia tradizionale viene oscurata per il comparire del vascello fantasma e della figura dell’Olandese, e che musicalmente corrispondono al piano interiore, a mio avviso è geniale, e ci fa penetrare in profondità in questa opera giovanile, svelandoci tutti i sottintesi psicanalitici che essa contiene.

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