RINALDO (DVD da Monaco)
L’altra sera ho avuto modo di registrare quest’opera di Haendel, rappresentata a Monaco nel 2000. Il direttore era Harry Ticket, il regista teatrale David Alden. Nel cast c’erano David Walzer come Goffreedo, David Demels come Rinaldo, Egils Silins come Argante. La due donne erano Noemi Nadelmann e Deborah York.
A me le opere di Haendel non piacciono. Le trovo successioni infinite di arie (fino a 40 in una sola opera, tutte rigorosamente col da capo, e terreno fertile per ogni virtuosismo canoro) intervallate da interminabili recitativi secchi. Vedo vicende improbabili, azione scenica pressoché assente, ambientazioni mitologiche spesso inventate di sana pianta senza una giustificazione almeno simbolica, amori che nascono non si sa né come né perché. Insomma mi annoio e dopo tre ore di questo andazzo sono fuori combattimento.
Pur le guardo, o le ascolto ugualmente. Mi interessa conoscere anche
ciò che non mi coinvolge, magari anche per capire il perché non vengo
coinvolto. Così l’altra sera, avendone l’opportunità, mi sono guardato
questo Rinaldo che Giovanni mi aveva descritto come messo in scena da
una regia “demenziale”.
Ebbene, mi sono dovuto ricredere sulle possibilità drammaturgiche delle
opere di Handel. Regista, direttore e cantanti hanno qui dato un saggio
di grande capacità di fare teatro. Quello che ho visto era proprio
teatro. L’aspetto visivo si legava perfettamente con l’ascolto e il
tutto, ben lungi dall’annoiarmi, mi attratto, coinvolto, come d’altra
parte sembrava essere coinvolto il pubblico in sala.
L’impostazione registica era quella di una satira irridente
all’ambientazione (la prima crociata), ai personaggi “eroici” positivi o
negativi che fossero, alle situazioni improbabili, al continuo richiamo
alle forze sovrannaturali (l’inferno, la magia nera), agli amori che
vanno e che vengono senza un percome o un perché. E tutto questo
splendidamente rivestito dalla musica di Haendel, alla quale lo
spettacolo, con tutto il suo movimento, i suoi colori, le gestualità
dei personaggi, aderiva perfettamente.
La vicenda, per chi non conoscesse l’opera, racconta l’amore di Rinaldo
per la figlia di Goffredo di Buglione, e del rapimento di questa da
parte di Armida, maga e amante di Argante, il re mussulmano di
Gerusalemme. Armida ha rapito la fanciulla perché informata dalle forze
infernali che per sconfiggere l’armata cristiana che assedia la città,
occorre sottrarle Rinaldo. Rinaldo infatti, stimolato dal canto delle
sirene, insegue la sua amata, e cade nella trappola. A questo punto
Argante si innamora della fanciulla prigioniera, e Armida di Rinaldo,
entrambi tuttavia infelicemente. Rinaldo verrà poi liberato da Goffredo
e da suo fratello, grazie agli aiuti di un mago cristiano, e si
arriverà alla battaglia finale ovviamente vinta dai cristiani.
Pensavo di descrivere in qualche modo ciò che accadeva sulla scena, ma
poi mi sono reso conto che una descrizione non poteva rendere, neppure
lontanamente, l’idea del teatro così come lo si poteva vedere. Il
teatro ha questo di bello: che non si può descrivere. Si può solo
vedere.
Posso solo riferire sull’impostazione generale.
Scene coloratissime, direi quasi colori acrilici, con grande prevalenze
del rosso. Ambientazione pseudo-moderna, quasi sempre interni.
Gerusalemme è rappresentata da una specie di traliccio sullo sfondo,
sul quale, a caratteri al neon, vi è il nome della città. Altre scene
sono il canto delle sirene, rappresentato da una specie di scivolo sul
quale tre silhouette femminili disegnate dal neon si accendono e si
spengono alternativamente in modo da dare l’impressione (falsa) del
movimento; l’interno del palazzo di Armida, una specie di spirale nella
quale vengono catturati in vortice Goffredo e suo fratello mentre
tentano di violarne la residenza, con apparizione di figure grottesche;
oppure sfondi bui in scene di “esterno”, nei quali i personaggi vengono
illuminati da luce radente. I cambiamenti di scena sono tutti a vista
(almeno per quel che si vede in TV), con tende che vengono tirate,
siparietti che si alzano e che si chiudono, pannelli che girano e
cambiamenti di illuminazione, molto efficaci.
I personaggi hanno costumi che ne caratterizzano la funzione: Goffredo
è vestito di nero, ha sempre in mano un breviario, come una specie di
sacerdote; qualche volta addirittura assume atteggiamenti predicatori
con tanto di paramenti. Rinaldo è un omaccione con vestito blu,
cappello sempre in testa, barba nera di un paio di millimetri, e voce da
soprano, goffo nelle sue movenze e nella sua disperazione di aver
perduto il suo amore. La figlia di Goffredo è vestita da ragazzina, con
occhiali, ma poi si trasforma nel corso degli eventi; particolarmente
arguta la sua gestualità nell’aria degli inevitabili “augelletti”.
Argante vestito da guerriero mussulmano, ma con simboli grotteschi
sull’armatura, offre un aspetto ridicolmente “terribile”. E Armida,
interpretata dalla bella Nadelmann, impersona l’erotismo, con vestiti e
movenze adeguate, o al contrario la furia guerriera con armatura piena
di pennacchi e svolazzi, elmo alato a mo’ di Valchiria, a cavallo di un
drago dalle mille teste dentate e sogghignanti.
La scena non è mai statica, ma sia nei recitativi secchi, che nel corso
delle arie succede sempre qualche cosa. Ma mai qualcosa di gratuito. La
musica di Haendel, soprattutto nelle arie, ma anche nelle tre o quattro
sinfonie che sono contenute nell’opera, suggerisce e guida i movimenti.
Le cose che vengono fatte spesso sono assurde, ma rispondono ad un
simbolismo satirico suggerito dal testo e dalla musica. L’ambientazione
in uno scontro “religioso” (cristiani contro Mussulmani per la
”liberazione” della città santa) porta in più di un’occasione a scene
che non è eccessivo definire blasfeme. Ma tant’è. L’importante, per
me, è che ho assistito ad un vero teatro e questo mi ha conciliato un
po’ con l’opera haendeliana.
I cantanti hanno cantato bene, sapendo perfettamente dosare i loro
virtuosismi con gli accadimenti, densi e continui che si verificano
sulla scena, con la scenografia (ripeto coloratissima, e vero e proprio
invito all’azione scenica) e con gli eventi cui l’aria o il recitativo
si riferiscono. Così certe scene erotiche della Nadelman, o le
goffaggini di Rinaldo, o la pseudosacralità di Goffredo hanno trovato
negli interpreti una validissima espressione, sia dal punto di vista
gestuale che da quello virtuosistico del canto.
Penso che i baroccofili puri, i fans di Haendel, probabilmente sarebbero
inorriditi davanti a questo spettacolo. Eppure qui, finalmente, in
Haendel io ho trovato il teatro, e da quello che si sentiva (pur con
tutti i dubbi del caso) pare che anche il pubblico abbia espresso
consensi che in alcuni casi arrivavano all’entusiasmo.