PETER GRIMES, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Devo ringraziare Logi per avermi segnalato questa bellissima rappresentazione di questa bellissima opera di Britten, con la direzione di Seiji Ozawa. L’avevo vista qualche anno fa alla Scala sotto la direzione di Tate e con la regia di Schlesinger e già la mia sensibilità era stata conquistata e avvolta da questo straordinario dramma. Domenica scorsa le emozioni si sono rinnovate, arricchite da riflessioni che questo secondo ascolto ha meglio reso possibili. Devo dire che con lo spegnersi dell’ultima nota ho avvertito una sensazione di oppressione, di tristezza, che mi ha impedito di buttarmi subito nell’applauso. Ma questa sensazione è stata evidentemente condivisa dal pubblico presente, dato che alcuni secondi sono passati prima che gli applausi iniziassero. E questo certamente non per dubbi sulla esecuzione, visto l’entusiasmo con il quale poi è stato accolto il cast.

La vicenda è semplice e la si può raccontare in poche parole. Grimes è un pescatore di un borgo sulla costa orientale dell’Inghilterra. È un tipo solitario, forse anche violento la sua parte. Non lega con il resto della popolazione, che anzi lo guarda con sospetto, lo considera un corpo estraneo pericoloso.

Durante un episodio di pesca muore il ragazzo che lo aiuta. Viene processato e scagionato dalla responsabilità di quella morte. Ma la sentenza assolutoria è espressa ambiguamente e i sospetti della gente si fanno più espliciti, vanno di bocca in bocca come pettegolezzo (il gossip!).

Grimes si sente sempre più emarginato, e reagisce in modo sempre più irritato, mosso da orgoglio ferito. Solo due persone cercano di comprenderlo e di aiutarlo: la maestrina Ellen (che vorrebbe e potrebbe sposarlo) e un vecchio saggio capitano in pensione, Balstrode. Ma Grimes è diffidente anche nei loro riguardi, rifiuta la pietà, vuole essere una persona come gli altri.

Gli viene affidato un altro mozzo, ma per una serie di circostanze, delle quali è molto più responsabile la furia della gente che non la supposta violenza di Grimes, anche il secondo ragazzo muore in un incidente.

Grimes, che voleva redimersi col lavoro e con la possibilità di guadagnare molto danaro, viene ancora accusato e non ha vie d’uscita. Da una parte egli impazzisce, dall’altra le stesse due persone che volevano aiutarlo si rendono conto che la partita è definitivamente persa, e lo invitano al suicidio e ad affondarsi con la propria barca. Cosa che Grimes fa.

Morto Grimes, la vita nel borgo riprende normalmente.

Il dramma di Grimes è un dramma molto complesso sia dal punto di vista psicologico che dal punto di vista drammaturgico. L’occasione è il lavoro di un poeta inglese, Crabbe, nel quale si descrive la vita in un borgo di pescatori. Ma la figura di Grimes che emerge dall’opera di Britten è molto diversa da quella presente nel lavoro di Crabbe, dove egli è disegnato come un semplice mascalzone, rissoso e violento.

Molti commentatori si sono affannati nel cercare di definire la personalità del pescatore disegnato da Slater (il librettista) e poi da Britten, riesumando termini della psichiatria o della psicanalisi. In realtà Britten stesso affermò essere “il soggetto molto vicino a lui, la lotta dell’individuo contro le masse. Più la società è viziosa, più vizioso è l’individuo”.

Questa affermazione ci riporta, mi pare, ad uno spunto di autobiografia. La sua omosessualità (deviazione sessuale allora vista con pesante critica dalle persone cosiddette normali), ha alla fine dato luogo ad accuse (calunniose, a quanto pare) di pedofilia, con l’intento di denigrare in modo pesante la figura di una persona giudicata “deviata” dall’opinione corrente. Tutto questo non può non aver inciso in profondità nell’animo di Britten.

La visione è fortemente pessimistica. Non solo Grimes è sconfitto, così come quelli che lo amavano, ma la sua vicenda, il suo dramma non lascia traccia fra la gente. La sua morte è la lontana eco di una barca che affonda. Neppure il suo nome esiste più nella breve scena che conclude l’opera.

Drammaturgicamente io lo trovo un capolavoro. Non solo sono rispettate le componenti aristoteliche (unità di azione, di tempo e di luogo), ma l’arco drammaturgico si dipana da un primo atto che presenta ambiente e personaggi, al secondo in cui l’azione si sviluppa per raggiungere il culmine con la morte del secondo mozzo, al terzo dove si ha l’inevitabile epilogo.

Ma c’è molto di più.

Una cosa che mi ha colpito è il ritmo. Nel primo atto assistiamo ad una tempesta che via via monta fino a raggiungere la violenza di un uragano. Nel secondo atto questa violenza si ripete, ma non negli elementi della natura, bensì fra la gente, nella quale montano i sospetti contro Grimes, fino a raggiungere l’apice nella spedizione del popolo del Borgo contro la capanna di Grimes nell’intenzione di fare un linciaggio. La spedizione ha un sapore tragico, è accompagnata da tamburi con una marcia di tipo militare che sta a metà strada fra l’orrore e l’ironia (per un ascoltatore italiano come me, richiama molto da vicino una parata nazista – siamo nel 1945 – ma potrebbe essere una qualsiasi parata militare vista dal pacifista senza concessioni Britten). È proprio a seguito del terrore e della confusione che questa marcia mette nell’animo di Peter che si ha il secondo incidente mortale.

Nel terzo atto assistiamo anche qui a una tempesta che sorge e che porta alla catastrofe; ma questa volta nell’animo e nella psiche di Peter, che impazzisce e va a suicidarsi. Tre terribili bufere: una degli elementi della natura, una nella folla, e una nell’individuo.

Un’altra cosa che mi ha colpito è la circolarità degli eventi e della musica. Per esempio, il duetto che conclude il prologo fra Peter e Ellen è cantato senza accompagnamento orchestrale. In questo duetto si apre una speranza per Peter, legata a Ellen e al rapporto di fiducia che si instaura fra i due. È bellissimo. All’inizio le voci si alternano nel canto, successivamente si sovrappongono per concludersi in un arioso pieno di speranza cantato all’unisono.

Alla fine dell’opera, Grimes ha un monologo ancora senza accompagnamento. Ora non c’è più Ellen, non c’è più speranza. Il monologo sarà concluso con l’aria più famosa di Peter che si era già sentita alla fine del primo quadro del primo atto, quando Peter rifiuta di ripararsi nel pub e affronta da solo il culmine della tempesta. Ora, l’aria che nella prima esposizione era un gesto di sfida, diventa la consapevolezza della sconfitta.

Altra circolarità è evidente nella musica del finale, quando il borgo riprende le sue normali attività dopo la morte di Grimes. Qui la musica è la stessa del primo quadro del primo atto, che descrive appunto le attività del borgo: una linea spezzata del flauto nell’acuto, arpeggi di clarinetto, accordi prolungati degli ottoni, e un coro che canta all’unisono. Come dire che dalla prima scena del primo atto alla fine della seconda scena del terzo non sia successo nulla. La normalità copre la tragedia, così come l’acqua del mare ha coperto la barca e il corpo di Peter, senza lasciare traccia.

Una terza osservazione di natura drammaturgica è la contrapposizione descrittiva fra Peter e la popolazione del Borgo. I personaggi del Borgo sono descritti con realismo, anche psicologico: Vi è l’uomo di legge, con tutta la sua prosopopea, il curato, la padrona del pub con due giovani nipoti dal ruolo ambiguo, il marinaio metodista fanatico e sempre ubriaco, la signora ficcanaso fondamentalmente cattiva, alla ricerca di scandali su cui chiacchierare malignamente, il farmacista spacciatore, il capitano di marina anziano, saggio, riflessivo e capace di comprendere, la maestra. Questi due ultimi potrebbero impersonare la ragione e l’amore, entrambi sconfitti dalla massa. Gli altri sono invece espressione di una diffusa ipocrisia che si manifesta di volta in volta in episodi nel corso della vicenda.

Nella figura di Grimes invece, più che il realismo, prevale il simbolismo. Il suo canto, quando è da solo, si estende dalla espressione della volontà, al delirio della paura e del dubbio, alle voci lancinanti della sconfitta, alla tenerezza dei sogni.

C’è un bellissimo esempio della contrapposizione Grimes-borgo. Quando, nel secondo quadro del primo atto, i borghigiani si fanno coraggio intonando una canzone “Old Joe has gone fishing” che è una splendida fuga perpetua in ritmo sincopato, Peter interviene con un “When I had gone fishing” che sconvolge le delicate trame della fuga, così come sconvolge gli equilibri della pace del borgo.

Un’altra bellissima fuga a quattro voci si ha nel primo atto quando Balstrode getta l’allarme “Look, the storm cone”; fuga alla quale partecipano i solisti, il coro e la stessa orchestra.

Sempre in tema di contrappunto, numerosi sono gli interventi a canone che si possono trovare, come per esempio, frequentemente si trovano nel canto delle due nipotine.

La forma musicale si basa molto sulla forma dell’opera italiana. Nell’opera sentimenti, speranze, frustrazione, disperazione, dolore vengono affidati ad arie, ariosi, pezzi d’assieme (duetti, trii, quartetti) e concertati. Sei bellissimi interludi infrapposti fra le scene suggeriscono quadri ambientali o stati d’animo, o entrambe le cose.

Parlare di ogni brano orchestrale, o di ogni aria o pezzo d’insieme diventerebbe lungo, noioso e poco producente, anche se ogni brano meriterebbe commenti sia sulla musica che sulla sua funzione drammaturgica.

Fare una selezione, è difficilissimo, almeno per me. Potrei dire che ogni interludio ha un titolo e una funzione: il primo descrive la vita del borgo (L’alba), il secondo la tempesta, il terzo la mattina della domenica e prelude alla scena forse più drammatica di tutta l’opera, il duetto fra Peter e Ellen, quando quest’ultima scopre gli atti di violenza di Peter sul mozzo, e ci porta alla terribile conclusione “Peter! We’ve failed! We’ve failed” e Peter risponde con uno straziante “So be it! – And God have mercy upon me!”. E tutto questo duetto, accompagnato da accordi ostinati, lugubri degli ottoni organizzati in triadi, si svolge su un tappeto rappresentato dal coro dei borghigiani che, all’interno della chiesa (quindi fuori scena) assistono alla funzione della domenica, portando così a emergere l’ipocrisia contrapposta alla forza dei sentimenti. E questo è tanto più evidente in quanto il “So be it” di Grimes si sovrappone perfettamente all’“Amen” con il quale il coro termina la funzione religiosa.

Il quarto interludio è una splendida passacaglia con cinque variazioni, che corrispondono al vulcano di stati d’animo di cui è preda Grimes; il quinto interludio è un notturno nel quale si avverte la pallida e bianca luce della luna con i suoi riflessi sul mare, e infine il sesto cupo, lento, ci porta all’ultima scena, invasa dalla nebbia, nella quale Grimes da solo, ormai in preda alle allucinazioni della pazzia, si aggira.

E come ignorare le bellissime arie di Ellen, quella del ricamo ad esempio (Ellen ha ricamato un’ancora sul maglione del giovane mozzo, e proprio il ritrovamento di questo maglione sarà la prova della sua morte)? O la sua aria all’inizio del secondo atto, la domenica mattina, quando con affetto tutto femminile, intrattiene il giovane mozzo, invitandolo a parlare…?

Insomma c’è da demoralizzarsi nel rendersi conto di non poter descrivere una infinità di particolari, tutti significanti, tutti densi di relazioni sia tematiche sia drammaturgiche.

Che posso dire? Che questi pochi esempi, si moltiplicano all’infinito in quasi ogni episodio, ogni brano, ogni intervento vocale. Quello che comunque va detto, è che nella musica dell’opera, in un modo o nell’altro si avverte in continuazione la presenza del mare, vuoi negli arpeggi del clarinetto del primo atto, o nella barcarola, o nelle esplosioni della tempesta, o nell’interludio del chiaro di luna.

Un altro aspetto da tenere presente sono le citazioni di autori cari a Britten: da Verdi, a Rossini, a Bach a Stravinski. Ad esempio la fuga perpetua “Old Joe” non può non far pensare alla funga finale del FalstaffTutto nel mondo è burla”. Certi concertati di finale d’atto non possono non far pensare a Rossini. I timbri prevalenti di strumenti a fiato nel prologo non possono non far pensare a certi colori della musica di Stravinski, e così via.

L’esecuzione.

La scenografia è semplice e molto tradizionale. Gli interni (la sala delle udienze, e l’interno del pub) sono rappresentati da un muro rozzo di fondo, nel quale si apre una porta, qualche panca sul davanti. Il Borgo è rappresentato da un lungo ponte su travi di legno che attraversa la scena trasversalmente, Le case le si immaginano lateralmente.

La capanna di Grimes sembra quasi lo spaccato di una conchiglia aperta davanti al lungo ponte che rappresenta il Borgo. La scena finale è una scena che pare aperta in mezzo a un gruppo di alberi, con la nebbia che sale dal basso, e il mare che si indovina poco distante.

La regia ha reso abbastanza bene il senso dei movimenti scenici, sia quelli del coro, sia quelli dei solisti: movimenti misurati, espressivi, mai retorici.

La direzione orchestrale. Mi è sembrata ottima. Molto chiara, espressiva, con una dinamica adeguata alle situazioni drammatiche, e con colori orchestrali molto ben espressi. L’acustica del Teatro del Maggio Musicale è molto buona ed è stato possibile seguire con chiarezza tutti i particolari di questa ricchissima opera.

Le voci: Langridge ha una voce alquanto stentorea, chiaramente “stonata” rispetto alle altre voci. E questo mi sembra uno dei meriti maggiori di Langridge che mi pare sia oggi il tenore interprete di Grimes più “gettonato”.  Si dice che la parte sia stata scritta proprio per la voce di Pears, che presentava alcune caratteristiche che si adattavano bene al ruolo. Non l’ho mai sentita, e mi piacerebbe fare un confronto. A Langridge comunque il pubblico ha riservato una vera ovazione.

Ellen è stata bravissima. Ha saputo rendere con estrema sensibilità un ruolo difficile, ricco di sentimento doloroso, in bilico fra la pietà umana, la con-passione (in senso buddista, non in senso triviale), la speranza, la consapevolezza della sconfitta… Quel suo debole e soffocato “no!” quando Balstrode invita Grimes ad uccidersi, contiene tutte le sue caratteristiche di donna. La Goerke, soprano che ho sentito per la prima volta, ha espresso tutto con una vera passione. Ha avuto dal pubblico un’ovazione che ritengo ampiamente giustificata.

Ottimo è stato anche Alan Opie, un Balstrode misurato, espressione di razionalità, saggezza, superiorità nei confronti dei Borghigiani, che si manifesta in modo molto esplicito quando, dopo l’incursione della folla nella capanna di Grimes, conclusasi con un nulla di fatto e con una affrettata assoluzione dell’uomo perché nella capanna era tutto in ordine (il principio di “normalità” che domina i sentimenti dei Borghigiani!), egli invece capisce che c’è qualche cosa che non va, e invece di tornare al Borgo come gli altri, scende per la scarpata dalla quale è precipitato, morendo, il povero mozzo.

Il Coro. È il quarto grande protagonista dell’opera, che alla fine può essere definita anche un’opera corale. E gli stessi personaggi cosiddetti secondari, di fatto più che dei solisti, mi sembra che siano da considerare le “punte” del coro. Occorre comunque dire che il coro si è dimostrato molto ben addestrato, perfetto negli attacchi, perfetto nei movimenti scenici. Il maestro è stato lungamente applaudito.

Per concludere questo lungo sproloquio, che ho scritto ancora sotto l’impressione di un’opera veramente sconvolgente, saluto tutti, e chiedo scusa se ho annoiato.

Scrivi un commento