SONO COMUNI LE COSE DEGLI AMICI, di Matteo Nucci
È il racconto di una frattura nella vita di Lorenzo: egli ripudia la moglie, Cristina, per intraprendere una relazione con Sara, la donna del suo amico d’infanzia. Il racconto si articola in tre parti, che potrebbero anche essere i tre momenti più significativi nei quali Lorenzo vive questa frattura.
Il primo momento, dal titolo “Veglia”, è quello della veglia funebre per il padre di Lorenzo, Leonardo. Il padre è appena morto. La sua ombra incombe sulla casa, ma soprattutto su Lorenzo. Lo si ricorda come un uomo di grande vitalità, molto vivace, che ama la donne, il gioco, le rischiose speculazioni economiche, l’amicizia, la convivialità, i pranzi, di cui è cultore anche dal punto di vista culinario. Ma tutto sembra poi ricostruire un’immagine fosca: le frequentazioni femminili avvengono nella sofferenza di chi è abbandonata, il gioco diventa una frenesia dalla quale è difficile liberarsi, le speculazioni economiche lo riempiono di debiti, le amicizie sono solo quelle di persone interessate, etc. Lorenzo è compresso fra il dolore per la sua morte e la paura di assomigliargli, di avere preso da lui la personalità debordante e inconcludente.
La frattura nella quale Lorenzo è incorso si dispiega con l’arrivo di Cristina, la moglie abbandonata: ella amava moltissimo il padre, ed è ancora innamorata di Lorenzo, ma ne ha paura e lo tiene a distanza. Cristina vive con dolore l’ombra di Sara, presente ora in Lorenzo come un senso di colpa. Il passato irrompe con piccole rievocazioni di episodi di vita in comune della famiglia, gite, pranzi, momenti di grande euforia, etc., e alla fine, nella preparazione di una specie di pranzo di addio con piatti particolarmente amati da Leonardo. L’anima di questi ricordi affioranti è Irma, la donna di servizio che si presente come parte integrante della casa, se non della famiglia.
Il secondo momento, nel libro intitolato “Vento”, ci porta sull’isola greca di Mikonos, nel cuore dell’Egeo, e dove per tutta l’estate tira un vento costante, a volte anche intenso, piuttosto freddo, il meltemi. Lorenzo e Sara stanno vivendo una vacanza dopo i funerali di Leonardo. I loro rapporti, tuttavia sembrano deteriorarsi, anche se sessualmente vanno ancora alla grande. Lorenzo ama il mare, vi si immerge per lunghi bagni; Sara pure ama il mare ma odia il vento, e mostra di annoiarsi. Il rapporto fra i due esplode in una cena nella quale fa la sua comparsa da una parte il padre, e dall’altra Marco. Lorenzo non può non pensare al padre e questo lo conduce a un profondo senso di colpa nei confronti dell’amico cui ha rubato la donna. Sara non riesce a nascondere il proprio fastidio nei confronti dello stato d’animo del suo ragazzo, finché lo scontro si verifica proprio sul nome di Marco. Egli manca ad entrambi, tuttavia in modo che sembra allargare il solco che li divide. Lorenzo si stacca da lei sempre di più, ha un’avventura con una fanciulla greca, e alla fine riparte per l’Italia da solo. Sara proseguirà la vacanza in altri luoghi.
Il terzo momento, dal titolo “Volto”, ci riporta a Roma, nella vecchia casa di famiglia, dove ora è sistemata la madre. Lorenzo è irrequieto, pensa ripetutamente al padre, teme di averne i difetti, si lascia troppo spesso trasportare dall’alcol. Il tradimento nei confronti dell’amico popola la sua mente in cerca di una soluzione che gli restituisca la propria identità. La madre, Giovanna; è il personaggio che popola con lui quest’ultimo quadro. Essa è stata una vittima di Leonardo, ma è anche la persona che, pur nella sua fragilità, ha avuto la tenacia di riuscire a comprenderne le contraddizioni. E per questo lei si pone come un solido punto d’appoggio nella ricerca che Lorenzo fa di se stesso. La soluzione possibile è quella di un colloquio chiarificatore con l’amico. Dopo diversi tentennamenti, Lorenzo si decide, e va a trovare Marco. Il colloquio fra i due è freddo, quasi insignificante. Sembra che entrambi cerchino una riappacificazione, ma nessuno dei due trova parole e argomenti adatti. La frattura c’è, e anche se verrà ricucita, la cicatrice sarà indelebile. Lorenzo si decide allora di richiamare Sara, della quale aveva in precedenza rifiutato i numerosi inviti a raggiungerla. Ma è Sara che questa volta non si fa trovare. Se Marco mancava a Lorenzo, Marco mancava anche a Sara, e Lorenzo alla fine se ne rende conto. Il cerchio si chiude con questo apparentemente non risolto punto interrogativo.
Il romanzo non ha destato in me particolare interesse né per l’argomento trattato, né per il modo di trattarlo. Leonardo, il padre, è un’ombra di gioia di vivere che sovrasta in modo piuttosto artificiale la psicologia del figlio. Lorenzo, che ne misura l’artificiosità, se ne rende conto ed è perseguitato dalla paura di assomigliargli: ne risulta una carattere introverso, che rimugina dentro di sé un passato nel quale non ha mai svolto un ruolo di protagonista, e tanto meno lo sa svolgere ora, dopo che ha tradito il suo migliore amico rubandogli la donna, e che ha abbandonato la sua moglie innamorata. Il risultato è un senso di colpa che si amplifica al pensiero del carattere paterno. Sara e Cristina, le due donne fra le quali le tensioni interne di Lorenzo si scatenano hanno poco spessore. Cristina è adagiata sul suo amore non sopito per Lorenzo, ma ora ne ha una gran paura e cerca di stargli lontano. Sara sembra un essere egoista, che si annoia facilmente se le cose non girano per il verso che a lei piace. La sorella di Lorenzo, Martina, è di fatto inesistente, ed ha la funzione di personaggio d’appoggio o riempitivo. Il personaggio forse più interessante è Irma, una specie di donna di servizio, con una modo di pensare rigido (davanti ai padroni non si siede mai, la sua funzione è quella di servire, etc.), ma che ricopre un grande affetto per i due giovani figli di Leonardo, ed è silenziosamente presente in modo determinante quando qualche difficoltà si solleva.
L’ultimo personaggio, quello della madre Giovanna, che è di fatto la protagonista dell’ultima sezione, “Volto”, è anch’esso scarsamente significativo, anche se le si può attribuire un misto di fragilità e caparbietà.
Lo stile di scrittura mi è parso abbastanza noioso. I dialoghi sono ripetitivi, in modo da sollevare la natura di uno stato d’animo piuttosto che mostrare o offrire informazioni sul pensiero dei protagonisti. Certe espressioni, sotto certi aspetti, ricordano i dialoghi presenti in alcuni romanzi di Cormac McCarthy, (lo confessa in un intervista lo stesso Nucci), ma la somiglianza è del tutto superficiale, essendo in McCarty questo modo di riportare i dialoghi delle vere sciabolate di luce, mentre in questo romanzo sembrano sostanzialmente personificare interlocutori scialbi, privi di energia che faticano a trovare argomenti che abbiano un carattere propulsivo. Le descrizioni sono sovrabbondanti ed estremamente particolareggiate: un’azione, ad esempio, viene descritta analiticamente nelle successioni degli atti, anche minime. Nucci stesso afferma che secondo lui è negli atti, più che nelle parole che si manifesta il carattere di una persona. In questo senso, i comportamenti dei personaggi si svolgono attorno ad azioni ripetitive, come Irma, che continua a pulirsi le mani sul grembiale, o Lorenzo, che continua a sciacquarsi la faccia, etc. Analogamente i paesaggi, sono descritti con dovizia di particolari secondo me scarsamente significativi per quanto riguarda l’economia della vicenda. Come ultima considerazione, il titolo del romanzo, ovvero Sono comuni le cose degli amici, recepito da un dialogo di Platone, il Fedro; decisamente non riesco a vederne un collegamento con le vicende narrate, anche se l’amicizia (o la sua mancanza, o la sua perdita), certamente è un aspetto presente nel racconto.