La fille du régiment alla Scala

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Serata non certo memorabile quella di ieri sera alla Scala. La Fille du régiment, secondo quanto ne posso capire, è un’opera che non offre grandi emozioni se non quella di contenere alcune arie che richiedono un grande virtuosismo vocale. Già posso dire che questo non rientra nei miei gusti, in genere molto lontani dal puro esibizionismo.

Ma, evidentemente la direzione artistica della scala ha ritenuto, giustamente credo, necessario inserire in una stagione operistica, oltre a opere d’avanguardia, a opere di grande tradizione, anche opere di caratura più leggera e capaci di soddisfare innanzi tutto gli amanti del bel canto.
E la Fille du Régiment ha tutti i numeri per farlo.
Come struttura operistica è un ibrido: comprende parti recitate, recitativi veri e propri, arie, pezzi d’insieme, etc. Quindi già diventa difficile stabilire la sua appartenenza alla Opéra-Comique (come detto dal sottotitolo) o all’Opera buffa italiana. In più, riesce difficile stabilire se di opera buffa vera e propria si tratta o di opera semi-seria, come la presenza di alcune arie struggenti (“Il faut partir” alla fine del primo atto, e “Par le rang et par l’opulence” e “Pour me rapprocher de Marie” nel secondo) farebbero pensare. La regia di Crivelli (con scene e costumi di Zeffirelli), mi è sembrato che abbia privilegiato la parte buffa.

Tuttavia c’è da registrare un successo solo parziale di questa operazione-proposta. Il successo (e la giustificazione) di tale proposta, proprio per la natura prettamente belcantistica dell’opera, dovrebbe essere condizionato da un’offerta di qualità di realizzazione straordinariamente alta: grandissimi interpreti, nuova e rutilante messa in scena, direttore d’orchestra capace di valorizzare le voci e nel contempo di trasmettere emozione.
Tutto ciò non c’è stato.
L’offerta originale si basava soprattutto su due interpreti che sulla carta dovrebbero essere il meglio che oggi offre il mercato in quanto a canto di coloratura: Juan Diego Florez e la Natalie Dessay. Ma evidentemente l’ingaggio di queste due “stelle” deve aver finito i quattrini, perché si è dovuto ricorrere a una messa in scena che ha ormai almeno 30 anni sul groppone, e francamente li dimostra tutti.
A questo primo impiccio, se ne è aggiunto subito un secondo (sembra quasi di assistere a una crisi del governo Prodi!): la Dessay ha (giustamente) ritenuto sconveniente cantare in una messa in scena così vetusta, e ha ricusato la partecipazione.
Quindi alla fine, per sostenere la qualità dell’offerta, è rimasto il solito JDF che in questi ultimi anni non so quante volte abbia interpretato (bis o non bis) la parte di Tonio. Qualche maligno dice che in famiglia ormai lo chiamino con questo nome :-) ).

E puntualmente, ieri sera ha fatto capolino la noia.
La messa in scena si avvale di una scenografia stilizzata che ricostruisce un villaggio tirolese nel primo atto, e un salone del castello nel secondo. I costumi sono divise militari dell’esercito napoleonico per gli uomini, e caricature di “sontuosi” vestiti e parrucche del primo Ottocento per le donne e per i civili.
Il movimenti di recitazione sono spesso spinti fino alla farsa, come i comportamenti sguaiati di Marie, vivandiera nel primo atto, le corse agilmente ginniche di Tonio, i comportamenti da sturmtruppen dei militari, le prove di ballo e di canto del secondo atto, la storpiata caricaturale pronuncia dei nomi degli ospiti tedeschi, i versacci qua e là, etc.
La musica e la direzione orchestrale non offrono, almeno a me, alcuno spunto per un commento.
L’interpretazione del canto ha mostrato una Rancatore che ha fatto il suo dovere senza una particolare eccellenza; e un Florez che ha fatto sì, la sua grande figura (ci sarebbe mancato altro che non la facesse!), ma francamente non mi ha entusiasmato. La celebre aria “Mes amis” musicalmente nulla di eccezionale, ma resa famosa dai sette (o più?) do di petto, ha avuto più di tre minuti di applausi e roboanti richieste di bis (fortunatamente non concesso), ma si è dimostrata solo un esibizione muscolare.
Florez secondo me non ha una bella voce: il timbro è molto chiaro, direi adolescenziale (pochi armonici?), il volume piuttosto piccolo. In questo modo, certo, ne guadagna l’agilità, che indubbiamente è moltissima, e l’estensione verso l’alto. Ma ne perde la caratura del personaggio. Per Tonio, personaggio di fatto inesistente, questo può andar bene. Ma ho sentito dire che intende interpretare personaggi veri come il duca di Mantova. Sarà, ma la cosa mi lascia molto scettico.

Per finire, spero di avere un maggior coinvolgimento il 10 marzo con l’offerta scaligera di una Salome diretta da Harding e con la regia di Luc Bondy.

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