Così è (se vi pare)
Stanno uscendo in edicola i DVD di rappresentazioni pirandelliane registrate a suo tempo dalla RAI.
La prima è stata Cosi è (se vi pare). Interpreti d’eccezione: Paolo Stoppa e Rina Morelli. Ottima occasione per rileggersi i lavori teatrali dell’autore siciliano.
Così è (se vi pare), del 1917, tratto dalla novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero, in Novelle per un anno, sezione Una giornata, è forse la prima delle grandi commedie in cui Pirandello pone al centro il problema della conoscibilità del reale. Già il titolo stesso lo preannuncia: ciò che vediamo, che conosciamo, che crediamo è reale per noi, ma non necessariamente per tutti. Altri nelle stesse cose possono vedere realtà diverse, in relazione delle contingenze, degli stati d’animo, dell’esperienze che ciascuno ha fatto, e di tutta la varietà di cose che contribuiscono a fare di una persona un essere diverso da tutte le altre persone. Akira Kurosawa riprese questo tema in uno dei suoi film più belli, Rashomon.
In una cittadina di provincia arriva un nuovo segretario in prefettura, il signor Ponza. Il suo comportamento privato, pur ineccepibile dal punto di vista professionale, mette subito in sospetto i suoi superiori e la cerchia di amici borghesi che li circonda. Il nucleo centrale del problema è il fatto che il signor Ponza ha affittato per la suocera un appartamento nella stessa casa di un suo superiore, il Consigliere Agazzi, mentre egli vive con la moglie in un altro palazzo, in un altro quartiere della città. Non solo, ma risulta che madre e figlia non possano vedersi se non a distanza, mentre il genero accudisce con continuità e costanza alle necessità della suocera, alla quale tuttavia è interdetto avere contatti anche con estranei, compresi i vicini di casa.
La costruzione drammaturgica è perfetta: nel primo atto facciamo la conoscenza dei protagonisti: la signora Frola e il signor Ponza vengono interrogati separatamente dai curiosissimi vicini, e danno dei fatti due spiegazioni diverse.
La signora Frola giustifica il genero, che avrebbe per la moglie un amore così esclusivo da impedire a chiunque anche alla madre di distrarre anche solo per un attimo l’amore della figlia per lui.
La versione del signor Ponza è di tutt’altro tenore. La signora Frola è pazza. Quattro anni prima la figlia, sposa dello stesso Ponza, è morta. La vecchia non si è potuta rassegnare. Quando due anni più tardi il signor Ponza si è risposato, la vecchia ha manifestato la pazzia nella quale era caduta riconoscendo nella nuova sposa, la figlia. Premura del signor Ponza è quella di lasciar credere alla suocera ciò che ella crede, ma di impedire fra le due donne un incontro ravvicinato che potrebbe sconvolgere la mente della donna pazza.
Questa verità viene tuttavia sopraffatta da un’altra verità, stavolta riferita dalla suocera in persona: è vero, il signor Ponza dice che sono pazza, e io faccio di tutto perché lo creda. In realtà il signor Ponza, ha subito un trauma molto violento quando la moglie gli è stata sottratta per un periodo di cura. Egli non ha potuto pensare ad altro che fosse morta. Quando alla guarigione, i due si sono potuti riunire di nuovo, le condizioni di lui erano a tal guisa deteriorate che si è dovuto celebrare un altro finto matrimonio, facendogli credere che la vecchia moglie ritornata, in realtà fosse una moglie nuova sulla quale riversare l’affetto che non poteva più essere riversato sulla prima moglie, creduta morta.
La suocera, pensa che si debba assecondare il genero in questa sua fantasia, lasciare che egli la creda pazza, e rispettare il suo divieto di vedere la figlia da vicino.
La esposizione di queste due verità occupa tutto il primo atto.
Naturalmente, queste due storie parallele e contrastanti, non fanno che sollevare i sospetti. Nel secondo atto si tenta un primo modo di affrontare il problema. Il luogo di provenienza delle tre persone è un paesello del contado distrutto da una catastrofe naturale. Nessuno è sopravvissuto tranne i tre. Tutti i documenti comunali sono andati distrutti nell’incendio che ne è conseguito. Insomma non esistono prove documentali. Per cercare di risolvere il problema quindi non resta che mettere a confronto suocera e genero. Il confronto si preannuncia drammatico e non innocuo per uno o per tutti e due i protagonisti. Ma ciò poco importa. Da esso si potrà capire quale delle due versioni è quella “vera”, ed è questo ciò che più importa agli amici convenuti in casa Agazzi.
Il confronto avrà luogo; e avranno luogo tutti i pericoli paventati per le due persone sconvolte, ma non si scioglierà l’enigma. Entrambi sosterranno davanti a tutti la versione dell’altro. La signora Frola confermerà di essere pazza per far credere al genero che la sua versione sia quella giusta. E il genero farà esattamente l’inverso, affermando che sua moglie sia effettivamente la figlia della signora Frola, per non contraddire la pazzia della suocera.
Quindi alla fine grande delusione.
Il terzo atto sarà quello in cui l’enigma verrà risolto. Risolto? Sì, nel modo in cui Pirandello pensa che si possano risolvere enigmi di questo tipo.
Nella ricerca della verità ormai sono coinvolti tutti; si potrebbe dire, tutta la città. Anche il prefetto. Le ricerche obiettive e documentarie non hanno dato nessun contributo sostanziale. Rimane una sola strada: interrogare la moglie segregata, e usare l’autorità del prefetto per costringere il signor Ponza ad acconsentirlo.
Il tutto dovrà avvenire in separata sede, nel salotto del Consigliere Agazzi, in modo che la versione della donna non venga influenzata né dalla presenza del marito, né dalla presenza della suocera, e soprattutto che l’incontro a tre non generi inevitabili traumi ai protagonisti.
Tutto viene accuratamente predisposto, ma alla fine le cose non vanno per il verso preventivato: la signora Frola inopinatamente si presenta in casa del Consigliere Agazzi e si rifiuta di uscire. Intanto dalla porta d’ingresso entra la signora Ponza e contemporaneamente, sconvolto, il signor Ponza. Signora Frola e signor Ponza in preda alla disperazione, chiamano la nuova entrata con il nome che ciascuno di loro crede (o dice di credere) che abbia: Lina, da parte della signora Frola, il nome appunto della figlia; Giulia da parte del signor Ponza, il nome della sua seconda moglie. Poi i due escono in lacrime trasmettendosi segni di grandissimo affetto reciproco e di intensa comprensione del dolore reciproco.
La signora Ponza entra solenne, austera, col volto coperto da un velo nero ora parla: c’è una sventura, che deve restare nascosta perché i danni che provocherebbe agli sventurati sarebbero troppo grandi.
“Chi sono io?” conclude la donna.“La figlia delle signora Frola, e anche la seconda moglie del signor Ponza. E per me, io sono colei che mi si crede.”
I piani di lettura mi sembrano due: uno filosofico, e uno sociale, che trovano nell’ultima scena entrambi una soluzione.
Il piano filosofico è rappresentato dalla inconoscibilità di una verità assoluta. Il piano sociale dalla volgarità con la quale la borghesia bene non esita a violentare la libertà del prossimo, indifferente se la propria curiosità e le manovre per soddisfarla portino poi a provocare sofferenza ulteriore.
La fusione dei due piani mi sembra molto evidente nelle parole della signora Ponza alla fine del dramma.
L’interpretazione di Paolo Stoppa è magistrale. La sua espressione, il suo modo di parlare trasmettono angoscia e dolore allo stato puro, anche se in certi punti a volte sembra andare anche un filino al di sopra delle righe. E così Rina Morelli. La sua recitazione lamentosa ma testarda, le sue lacrime, il tono basso delle sua voce, ne fanno un’interprete d’eccezione.
A Rossella Falk è riservata una parte brevissima, ma fondamentale: quella della signora Ponza. Il suo ingresso in scena è degno di un’antologia. Straordinario!
Molto bravo anche Romolo Valli, nella parte di Laudisi, un personaggio periferico; potremmo paragonarlo al coro delle tragedie greche.
I suoi sono gli ironici commenti di chi capisce l’assurdità e la crudeltà di questa ricerca della verità a scapito del dolore altrui: una specie di Pirandello che, non limitandosi a mettere in scena la vicenda, mette in scena anche se stesso per commentarla.