ORIZZONTI DI GLORIA (Stanley Kubrick, 1957)
È il primo grande capolavoro di Kubrick. Dopo questo, tutti i suoi film, secondo me, possono essere classificati fra i capolavori. È in bianco e nero. L’argomento ci porta nella Francia del 1916, in piena Grande Guerra. Gli eserciti francese e tedesco si affrontano nello loro trincee stante una immobilità del fronte che ha caratterizzato quasi tutta la durata del conflitto. Attacchi e contrattacchi si susseguono con grande dispendio di vite umane. Gli uomini passano le giornate nelle trincee, in attesa che arrivi un qualche ordine di uscire in pattuglia esplorativa o di andare all’attacco; esplosioni, per lo più innocue, si susseguono tutt’attorno quasi come sottofondo sonoro a una infinita tragedia umana.
Entriamo in uno dei tanti momenti critici: alti ufficiali francesi si incontrano nelle loro sedi, ricavate in sontuosi palazzi nobiliari, per decidere sul da farsi. Con tono mellifluo, velato di evidenti sottintesi, si decide di lanciare un attacco massiccio contro una trincea tedesca, perno di tutta la difesa del settore, denominata “il formicaio”. L’impresa è difficile, addirittura giudicata “impossibile”, e il generale Paul Mireau (George Macready), al quale viene proposta, si rifiuta. Ma il suo collega e superiore dello stato maggiore, (generale Broulard, interpretato da Adolphe Menjou) prevedendo questa risposta, lascia intravvedere la possibilità di una promozione. In questa nuova situazione l’oggettiva impossibilità diventa la possibilità della volontà. L’attacco si farà. Il generale Mireau si precipita nelle trincea dove è alloggiato il reggimento 701, quello noto per essere il più aggressivo, e convoca il colonnello Dax, interpretato da Kirk Douglas, che ne è il comandante. L’attacco si dovrà fare, e alle obiezioni di Dax il generale risponde con una ripugnante algebra dei morti: tanti uomini moriranno all’uscita dalla trincea, tanti moriranno nella terra di nessuno, tanti al superamento dei reticolati, etc. Insomma, fatto il conto dei morti, rimarranno abbastanza uomini per prendere e difendere il formicaio.
Si capisce subito, dai comportamenti e dai discorsi che fanno, il carattere dei diversi personaggi. Il generale Mireau, uomo tutto di un pezzo, fanatico (ha una vasta cicatrice su una guancia), che tratta gli inferiori con disprezzo, mostra di non avere nessuna considerazione per la vita umana, neppure per quella dei suoi uomini. Le sue comparse fra i soldati nella trincea, che vorrebbero essere di interessamento, nella realtà servono solo per esercitare il suo potere. Il generale Broulard, personaggio viscido, abituato alle manovre della politica, riesce sempre a scaricare le responsabilità sugli altri, soprattutto se inferiori. Il problema delle vite umane e della loro sorte non entra nel suo orizzonte di militare. Il Colonnello Dax, uomo positivo, è compresso in continuazione fra le assurdità di ordini ineseguibili, e la necessità di obbedire cercando di limitare al massimo i danni che questi ordini causano. Ha un rapporto di reciproca stima con i suoi soldati, che godono fama di essere dei valorosi.
A seguito dell’ordine di attacco, tre uomini (il tenente Roget, il caporale Paris e un terzo soldato) vengono inviati in esplorazione notturna. La situazione non appare chiara. Roget, incurante delle rampogne del caporale Paris, si comporta da vigliacco e causa la morte del terzo soldato. Al mattino parte l’attacco, che risulta ben presto essere un disastro. L’appoggio d’artiglieria non è stato sufficiente, i tedeschi si difendono strenuamente con mitragliatrici e causano stragi fra gli assalitori, i più avanzati dei quali non riescono a superare la terra di mezzo né a raggiungere i reticolati di difesa tedeschi. Un battaglione addirittura non riesce a uscire dalle trincee. Inutile è l’impegno del colonnello Dax che stimola i suoi uomini e si espone personalmente. I soldati si ritirano. Il generale Mireau a questo punto, constata il fallimento, incolpa la “vigliaccheria” dei soldati, e dà ordine all’artiglieria di sparare su di loro. Ma il comandante dell’artiglieria si rifiuta di farlo in assenza di un ordine scritto e firmato.
In conclusione il generale convoca il colonnello Dax, accusa i suoi uomini e vuole una punizione esemplare. Tre uomini, presi a caso in ognuno dei tre battaglioni dovranno essere processati per codardia davanti al nemico. Si costituisce una corte marziale. La scelta nel primo battaglione sarà fatta dal tenente Roget, che indica il caporale Paris, testimone del suo atto di vigliaccheria della sera prima; nel secondo battaglione verrà scelto dalla truppa il soldato Ferol, considerato da tutti un asociale; nel terzo verrà estratto a sorte Arnaud, soldato protagonista nel passato di imprese eroiche. Dax cerca di opporsi, inutilmente, a queste assurde pretese del generale, dimostrando che i suoi uomini hanno fatto veramente tutto il possibile, e che l’impresa comandata era ineseguibile. Riesce comunque a ottenere il ruolo di avvocato difensore dei tre imputati. La corte marziale si riunisce e sull’onda di un processo farsa in cui vengono trascurati i minimi procedimenti di garanzia di giustizia, i tre soldati vengono condannati a morte mediante fucilazione. Essi non riescono a capacitarsi di questo verdetto, si appellano inutilmente ai camerati che, evidentemente non possono far nulla se non incoraggiarli a morire con dignità. Arnaud, soldato valoroso e irreprensibile, si ribella a una condanna che nel suo caso è doppiamente ingiusta, e nella colluttazione che ne consegue, cade battendo la testa e perdendo conoscenza.
La condanna viene eseguita seguendo un macabro rito, nel quale il rigore militaresco, viene impiegato per uccidere tre persone inermi e innocenti, dando una impressione altamente grottesca. I tre uomini vengono legati ai pali, e il soldato Arnaud, in stato di incoscienza per il trauma subito, viene legato alla barella appoggiata al palo. Addirittura gli viene dato uno schiaffetto per renderlo cosciente! A comandare il plotone, per ordine del colonnello Dax che è venuto a sapere del suo comportamento da vigliacco, sarà proprio il tenente Roget: crudele, ma giusta punizione.
Dopo la fucilazione, Dax non ha potuto fare a meno di ritorcere la tragedia sull’uomo che l’ha causata. In un colloquio col generale Broulard, egli accusa, con tanto di documenti e testimoni, il generale Mireau di aver dato ordine all’artiglieria si sparare sui propri soldati. La conclusione non potrà essere che la destituzione di questo generale, che ora viene definito pazzo, e la promozione del colonnello Dax al suo posto. Questo, almeno, è quanto propone il generale Broulard, il quale pensa che Dax abbia congegnato tutto per ottenere questa sua promozione. Dax invece s’indigna: il suo interessamento per i soldati è stato un fatto scontato in ordine alla giustizia e all’intelligenza pesantemente violate dal comportamento dei generali, e da una corte marziale subalterna. Niente promozione quindi, e forse niente più promozioni per il resto della sua carriera.
Il finale del film è tutto per i soldati. Raggruppati in un bar a godersi uno spettacolo, ascoltano una giovane tedesca che con aria mesta canta una nostalgica nenia. I soldati all’inizio chiassosi e turbolenti, via via che il canto procede si commuovono; qualcuno versa qualche lacrima. Arriva l’ordine di partire per il fronte. Il colonnello, che li sta guardando, prega l’ufficiale che porta l’ordine di lasciarli ascoltare il canto ancora per qualche minuto.
Il film è una feroce denuncia in primo luogo della guerra come luogo di inutile confronto fra stati e di massacro di vite umane. Poi della stupidità degli alti gradi che non solo danno ordini insensati, ma addirittura fanno pagare i loro marchiani errori ai soldati usando procedimenti legali, come la corte marziale, per azioni illegali come una forma di vendetta e di scarico di responsabilità, come la condanna a morte di tre innocenti. Quindi delle differenze di classe presenti anche, se non soprattutto, fra i militari: differente modo di trattarsi degli alti gradi militari, che vivono in sontuosi palazzi, rispetto alla truppa che passa le giornate nella sozzura di trincee fangose. Infine degli intrighi che sottostanno a importanti decisioni militari, e alla prospettiva di stragi di vite umane, come un’operazione razionalmente considerata impossibile che lo diventa in funzione di una prospettiva di promozione.
Il film è anche un capolavoro nella scelta dell’eloquenza delle immagini: il contrasto fra lo studio dove operano i generali e il fango delle trincee; le immagini dell’assalto fallito, con uomini in divise macilente che percorrono, in parte cadendo e in parte strisciando, una terra massacrata dai colpi di artiglieria; il grottesco rituale della fucilazione, con la truppa schierata, gli ufficiali che percorrono lo spiazzo con passo marziale, la barella issata al palo con dentro l’uomo in stato di incoscienza. Infine l’ultima scena, quella dei soldati che cercano di vincere la paura sghignazzando allo spettacolo del comico all’interno del locale, e che gradualmente vengono sopraffatti durante il canto di una fanciulla tedesca dalla nostalgia di una vita familiare che la guerra sembra aver loro negata forse per sempre.