CANNE AL VENTO (Grazia Deledda, 1913)

Il racconto ci trasporta in terra sarda, in provincia di Nuoro, nel paese di Galte, all’inizio del secolo. I Pintor sono dei nobili decaduti. Gran parte della loro ricchezza è andata scialacquata. Sono rimaste tre sorelle, Ester, Ruth e Noemi la cui unica proprietà è rappresentata da un piccolo podere, che produce soprattutto mandorle e pesche, ed è accudito da un vecchio servitore-contadino, Efix. Nel passato la famiglia era dominata dal padre, don Zame, persona orgogliosa della propria nobiltà, gelosissimo dell’onore delle figlie, per le quali prevedeva matrimoni solo con gente del proprio rango, e che per questo teneva prigioniere in casa dove accudivano ai lavori domestici.

L’onore di Zame fu, a un certo momento, profondamente ferito dalla fuga della quarta figlia, Lia, che non sopportando la vita di clausura che le era stata imposta, senza avvertire nessuno se ne andò. A Civitavecchia incontrò un onest’uomo che sposò e dal quale ebbe un figlio, Giacinto. Don Zame non sopravvisse alla fuga della figlia, e fu trovato morto sulla strada. Il dolore? Un’aggressione? Le tre sorelle rimaste sole proseguirono la vita che il padre aveva loro imposto, e ruppero ogni rapporto con la fuggiasca. Solo la nascita del bambino scosse per un momento la loro insofferenza. Il bambino crebbe e dopo la morte dei genitori sopravvisse con un modesto impiego in dogana, finché, seguendo i consigli che provenivano da più parti, decise di trasferirsi in Sardegna, a Galte, nel paese della madre e della famiglia, nella speranza di poter trovare un lavoro più confacente.

Il romanzo inizia quando a Efix, che vive sul poderetto in una capanna che gli fa da abitazione, giunge l’invito di recarsi al paese presso le sue padrone in quanto è giunta una lettera che, si pensa annunci l’arrivo di Giacintino. Efix è il vero protagonista del romanzo. La sua età, il suo lavoro legato alla terra, il suo modo di pensare, i suoi affetti, soprattutto nei riguardi delle sue padrone e, per esteso, anche per Giacintino, in quanto figlio di una di loro, incarnano il paese, la sua natura, la sua storia, il suo modo di vivere. Nell’animo del vecchio, fin dalle prime pagine, emerge uno spirito religioso che si intreccia in modo stretto con una specie di idolatria fatta di folletti, fate, morti che tornano, voci infantili etc. È in sostanza lo spirito religioso che domina nel paese. Ogni riferimento a Dio, alla sua volontà, alla sua capacità di intervenire nelle disavventure positive o negative che siano, al suo controllo sulla vita umana, si intreccia con i soliti idoli che impersonano la natura, il trascorrere delle stagioni, i pendii delle valli, gli alberi dei boschi che ricoprono i fianchi del monti, la luce del cielo, lo splendore della luna, etc. La Deledda ama molto soffermarsi sulle descrizioni del paesaggio che hanno, in questo caso, la funzione di fondersi con il vivere quotidiano e lo sgorgare dei sentimenti della povera gente. L’uomo è frutto della natura. Il titolo del romanzo, Canne al vento, vuole proprio significare questo essere soggetto dell’uomo a forze superiori che ne condizionano il destino proprio come la canna è soggetta al vento che la fa piegare.

Giacintino arriva a Galte, alla casa delle zie. Il suo arrivo è improvviso, e le zie sono sconcertate. Ester e Ruth lo accolgono con gioia, mentre Noemi dimostra subito di non gradire la sua presenza. Efix si schiera dalla parte del giovanotto, e promette di aiutarlo e di fare in modo che si comporti bene. Ma le cose non vanno per il verso giusto. Giacintino si rivela una persona inaffidabile; intraprende una relazione con una fanciulla di povere origini, Grixenda, e promette di sposarla; in pubblico spende molti soldi, e poi si scopre che li prende a prestito dall’usuraia Kallina con cambiali firmati da don Predu, un ricco parente delle Pintor che vorrebbe impadronirsi del poderetto; addirittura gioca e perde in continuazione. La situazione precipita quando alle tre sorelle arriva dalla Kallina un protesto delle cambiali per i soldi prestati. La cifra è enorme ed esse precipitano nella povertà. Ruth non regge al dolore e muore. Ester e Noemi incolpano Efix che non ha saputo tenere a freno Giacinto. Quest’ultimo si rende conto del disastro, e fugge. Efix cerca di rimediare e lo raggiunge, incolpandolo. Ma nel drammatico colloquio fra i due il vecchio confessa di avere ucciso lui don Zame, per poter facilitare la fuga di Lia verso la quale sentiva una specie di passione. Giacinto alla fine se ne andrà a Nuoro in cerca di un lavoro presso il mulino: un lavoro modestissimo, che certamente non gli consentirà di rendere i soldi alle zie. Don Predu intanto si dimostra meno vorace di quel che le sorelle ritenevano, e decide di acquistare il poderetto in modo da pagare i debiti, e nel contempo si decide di chiedere in sposa Noemi. Affida l’ambasciata a Efix che ne parla con la donna, cercando di convincerla. Ne riceve un rifiuto. Noemi è una donna orgogliosa, che ha ormai da tempo superato i 30 anni, e che, nonostante il disprezzo che mostra nei confronti di Giacinto, colpevole di avere sconvolto l’equilibrio classista della famiglia, nutre per lui una impossibile e segreta passione. Efix decide di andarsene. Si accommiata dalle due sorelle, non riporta la risposta di Noemi a don Predu, e si propone di incontrare nuovamente il ragazzo. Si reca a Nuoro dove il ragazzo conduce una vita misera lavorando nel mulino e ospitato da un amico di buon cuore. Il nuovo scontro fra Efix e Giacinto porta al chiarimento: Giacinto non deve più pensare a restituire i soldi alle due sorelle. L’unico modo che ha per aiutarle è quello di sposare Grixenda, così libererà Noemi dal peso rappresentato dalla sua persona, e ella potrà decidersi a sposare don Predu.
Efix prende quindi a girovagare per il Paese. A una delle tante feste religiose che vi sono nei paesini della Sardegna, incontra un cieco, e si presta a fargli da guida, entrando nel variegato mondo dei mendicanti. Accompagna il nuovo amico di festa in festa, di paesetto in paesetto, mendicando, facendo il sacrificio di punire il proprio orgoglio come una specie di penitenza per i peccati da lui commessi. Il suo girovagare dura oltre due mesi, da luglio a settembre. Poi alla fine si decide per il ritorno. La due sorelle lo accolgono nel loro solito modo: Ester con grande gioia, Noemi con l’abituale astio e ostilità. L’arrivo di Efix apre le nuove prospettive di cui è latore. Noemi, alla notizia che Giacinto sposerà Grixenda, decide di accettare la proposta di don Predu. Si prepara tutto per il grande giorno. Efix ha esaurito il suo compito principale, quello di proteggere le due donne dalle avversità che hanno dovuto sopportare. I suoi obiettivi sono stati raggiunti. Ora un altro uomo è entrato nella vita delle sorelle Pintor, ed egli può abbandonarsi alle braccia della morte. La sua agonia impegna interamente l’ultimo capitolo del libro, nella descrizione degli addii e dei sogni che, all’avvicinarsi della morte popolano il pensiero di Efix, come forma di ricordi, di sentimenti d’amore, e di gioia.

Il libro è scritto con una penna molto leggera. Il personaggio di Efix è un po’ la porta d’ingresso per il lettore a una mondo primitivo, ma ricco di sentimenti: amore, gelosia, orgoglia, invidia, pentimento. Sono tutte manifestazioni elementari che albergano in animi per il quali il centro dell’interesse è la vita: la vita personale e quella di relazione in una natura che è parte integrante del modo di essere.

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