In occasione delle rappresentazione al teatro degli Arcimboldi, si è
parlato molto di quest’opera, officiandone una valorizzazione che a me,
francamente, è sembrata eccessiva.
Se si analizza l’opera drammaturgicamente ci si rende conto che la
struttura è inconsistente. Un fatto che avviene all’inizio dell’opera,
la condanna all’esilio del figlio del doge Francesco Foscari, porta ad
una successione di lamenti, vuoi disperati, vuoi di ribellione, vuoi
rassegnati che di fatto occupano quasi tutta l’opera. Non si rileva
alcuna arcata drammaturgica. Dall’evento “scatenante” subito all’inizio
del primo atto, si passa, senza che accada più nulla se non la sequela
di lamentazioni, all’unico vero climax alla fine del terzo atto, quando
Francesco Foscari si trova bersagliato in pochissimo tempo (nell’opera
una decina di minuti) dalla notizia dell’innocenza del figlio,
dall’annunzio della di lui morte e infine dalla sua esautorazione che
culmina con la sua morte. (altro…)