22 aprile 2014
La presentazione del film ci mostra in una giornata di sole un vasto cimitero con tante tombe, su ognuna delle quali varie donne sono impegnate a pulire e lustrare le lapidi. Si sente un commento: le donne hanno vita più lunga degli uomini, infatti le vedove sono in numero molto maggiore rispetto ai vedovi. Quindi le donne sono esseri destinati all’infelicità. Ci sono delle eccezioni: un gruppetto di donne è fermo davanti a una lapide nella quale sono scritti il nome di un uomo e di una donna. Sono stati fortunati. Sono morti insieme, bruciati nel casotto dove dormivano abbracciati. Sono il padre e la madre di Raimunda (Penelope Cruz) e di Soledad, detta Sole (Lola Dueñas). Le due sorelle, accompagnate dalla figlia quindicenne di Raimunda, Paula, uscendo dal cimitero, si recano dalla zia Paula, la sorella della donna morta della quale le donne hanno appena visitato la tomba. È una donna chiaramente partita: non riconosce le parenti, straparla, si muove a fatica, anche se nel complesso abita in una casa ben arredata, ordinata pulita e anche la colazione che offre sembra ottima qualità. Qualche dubbio nella mente delle sorelle si crea.
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20 aprile 2014
È il primo lavoro teatrale importante del grande scrittore russo. Ha avuto alcuni rifacimenti. Le prime rappresentazioni non hanno avuto alcun successo. Solo in un secondo tempo, dopo un rifacimento piuttosto importante il pubblico e la critica hanno cominciato ad apprezzarlo. Si tratta di un dramma in quattro atti che si svolge nella campagna russa, lontano dalle grandi città.
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19 aprile 2014
Nell’introduzione Dario Fo racconta come è nata l’idea di questo racconto. Anzitutto il nome del protagonista: Johan è un nome che deriva da Giovan, Giani, Zanni, nome ricorrente proprio nella Commedia dell’arte. In secondo luogo, l’idea nacque in seguito a una rappresentazione in Spagna di un lavoro precedente, che abbiamo già visto: Isabella, tre caravelle e un cacciaballe del 1963.
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18 aprile 2014
Il film inizia con una strana sequenza: due ballerine ad occhi chiusi, in sottoveste, devono attraversare, con una specie di danza, un palcoscenico occupato da sedie e altri mobili dello stesso tipo. Un uomo corre davanti a loro, spostando gli oggetti, in modo da liberare il percorso che fanno. La musica che accompagna la scena è un’aria da The Fairy Queen di Purcell, “O let me weep”. Fra gli spettatori in platea due uomini seduti in poltrone vicine: Benigno Martín (Javier Cámara) e Marco Zuluaga (Darío Grandinetti). Benigno osserva che Marco ha le lacrime agli occhi. Questi due personaggi non si conoscono, ma, nel corso del film le loro vite si incroceranno grazie a due donne che per diversi incidenti si troveranno ad essere in un coma apparentemente irreversibile.
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8 aprile 2014
È il secondo film della Trilogia della vita di Pasolini. È tratto del libro I racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. La struttura del film è molto simile a quella del Decameron. I racconti si susseguono l’un l‘altro, tutti portatori di un sano e gioioso erotismo; ovviamente, cambia l’ambientazione. Qui siamo in Inghilterra: un gruppo di persone si raccoglie in un villaggio; case di legno, strade in terra, venditori ambulanti, animali di cortile, giovani che fanno la lotta; un grande ambiente a colonne ospita i futuri pellegrini. Arriva anche Chaucer, interpretato dallo stesso Pasolini. L’oste, colui che gestisce il salone, dà il segnale della partenza. Si andrà tutti a Canterbury, ma per vincere la noia ognuno dei componenti dovrà raccontare una storia. L’oste, alla fine darà il premio alla più bella.
Le storie rappresentate nel film sono otto. Come per il Decameron, non è rispettato l’ordine in cui compaiono nel libro, ma seguono un ordine proprio.
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