Immagini per un profilo di William Xerra
1. Gli anni sessanta.
Primi incontri tra parole e immagine
Le immagini di questa collezione dedicata all’arte di William Xerra consentono di ricostruire in modo esemplare il percorso dell’artista negli ultimi vent’anni, attraverso le fasi più significative della sua ricerca, condotta sulla sottile e sempre diversa interrelazione tra immagine e parola.
Prima del ciclo dei cosiddetti “VIVE” che inizia nei primi anni settanta, e da cui questa collezione prende avvio con quattro opere rilevanti dal 1972 al 1977, il lavoro di Xerra ha conosciuto un breve periodo di pittura legata a suggestioni di carattere informale. Ma già attorno al 1966-67 i modelli astratti o figurativi della pittura non reggono di fronte alla necessità di affidarsi al linguaggio verbale, usato in modo trasgressivo dell’ordine comunicativo convenzionale.
Accanto a questo affioramento della parola disarticolata e dissacrante c’è anche il tentativo di materializzare nella spazio un rapporto fluido e mobile con l’ambiente, attraverso la creazione di oggetti costruiti con un occhio rivolto alla realtà e l’altro all’immaginazione. Ci troviamo di fronte a un gioco di rimandi ironici, una sete di occupare la spazio in tutti i modi, con dimensioni e rapporti inconsueti.
Vediamo Xerra costruire luoghi fatti di superfici riflettenti e inventare strutture sagomate in cui lo sguardo dello spettatore deve cadere come un trappola mentale dove le superfici diventano strumenti intercambiabili della rappresentazione. Queste operazioni condotte nell’ambiente costituiscono una fase della ricerca di Xerra che viene prontamente superata da un forte e definitivo interesse verso la cultura letteraria della cosiddetta “poesia visiva”, un movimento d’avanguardia attivo già da alcuni anni a livello internazionale.
Sottolineare, dunque, che alla fine degli anni sessanta Xerra è attratto dal comportamento dei poeti e dei pittori che sperimentano un “incontro di codici”, un intreccio dei linguaggi e una reciproca tensione tra poesia e pittura, significa cogliere lo spazio culturale a cui il giovane artista si riferisce come scelta di tipo linguistico ed esistenziale.
L’incontro e la frequentazione di poeti come Corrado Costa, Giorgio Celli, Emilio Villa, Sebastiano Vassalli e Antonio Porta gli consente di respirare un’aria ancora fortemente intrisa dello sperimentalismo della neo-avanguardia italiana. All’inizio degli anni settanta con Corrado Costa pubblica il libro-oggetto “Il gran voyeur” e realizza “tre poemi flippers” che lo proiettano verso una complessa identità dell’atto creativo, non riducibile al solitario progetto mentale dell’opera ma aperto a molteplici e improvvise intrusioni di altre forme di sensibilità.
Siamo pienamente immersi nel rapporto tra diversi codici proposti dalla poesia visiva, un’operazione di vasta importanza che da un lato affronta la crisi del linguaggio poetico e dall’altro dilata le possibilità dell’arte visiva in senso stretto. Nei “flippers” le parole sostituiscono i punti di scorrimento della pallina, prendono il posto dei numeri fissi sulla schermo e costituiscono in tal modo un poema visivo ricco di combinazioni tra parole e immagini.
Sempre nei prima anni settanta Xerra realizza sculture che sono soprattutto situazioni di comportamento spaziale che il pubblico deve saper assimilare, ogni mostra dedicata a questa ricerca viene intitolata “Labirinto scultura ambiente” quasi a significare la necessità di spostare l’attenzione sul processo di trasformazione dello spazio-scultura, non sull’oggetto singolo in quanto tale.
Contemporaneamente l’artista si muove sull’idea della cancellazione, dell’occultamento di parti d’immagine; lo vediamo lavorare sulla definizione estetica di “lapidi” in cui è stata sostituita l’immagine del volto con uno specchio. la cancellazione del ritratto del defunto e non del nome rappresenta un gioco tra presenza e assenza con cui Xerra fa costantemente i conti nel suo esperimento d’immagine.
L’artista affronta questa problematica anche nell’operazione sulla storia della Madonna del Pero la cui apparizione non avviene o, meglio, viene cancellata e documentata come assenza da un gruppo di artisti e di critici, tra i quali Pierre Restany che scrive a questo proposito: “Il miracolo demistificato incarna la presenza della propria assenza. Il mistero diventa gioco”1.
È questa una fase concettuale che permette a Xerra di indagare le strutture del linguaggio come strumenti di critica della spazio della rappresentazione, come oltraggio dei limiti imposti dal sistema dell’arte, operando verso una trasgressione continua delle sue regole di produzione e di ricezione.
2. Gli anni settanta
La parola VIVE come immagine costante della scrittura
Tra le immagini di questa collezione ci sono alcuni importanti esempi, come dicevamo, dalla serie intitolata “VIVE“, uno dei cicli di Xerra più conosciuti e riconosciuti dal pubblico e dalla critica militante.
“Nei confronti della altre declinazioni della poesia visiva, che tendono piuttosto alla complessità del messaggio e ad una articolazione linguistica spinta spesso fino al limite della ridondanza, l’opera di Xerra si situa, in questo momento, in una postazione abbastanza diversa, se non addirittura opposta. Semmai, essa fa pensare alle prove di Isgrò, alla abolizione dell’immagine e alle cancellazioni con le quali l’artista dà una risposta alla sovrabbondanza comunicativa della ionosfera urbana mediata dalla pop art. Xerra si colloca dalla stessa parte e non è un caso che una sua opera rechi insieme, a mo’ di exempla, una cancellazione di Ma Ray e una di Isgrò, accompagnate però dal termine “vive” vero e proprio leit-motiv della sua poetica”2.
Quello del frammento o del dettaglio di una immagine è, del resto, un tratto linguistico che Xerra usa costantemente e che va oltre la dimensione specifica di queste opere dedicate al “Vive”. Tuttavia in esse compare con grande suggestione, soprattutto là dove l’artista le utilizza come reperti diretti, come materie da inserire sulla tela e con cui costruire il tessuto dell’opera. In “Vive” del 1976 una freccia raccorda la parola “vive” con quel punto della tela antica la cui rappresentazione si fa vaga, quasi irriconoscibile, cancellata dall’usura del tempo, essendo svanita l’immagine con la caduta del colore.
Tuttavia bisogna riconoscere, al di là delle pur preziose letture psicanalitiche, che prevale un fondamentale interesse estetico nella scelta di questi frammenti utili alla costruzione fisica della superficie.
Xerra inserisce queste parti di dipinti ritrovati sì con l’intenzione di riscattarli dall’anonimato della storia, ma senza alcuna intenzione culturalistica e senza adesione verso le nascenti poetiche della citazione, della storia dell’arte o di altri codici.
Nell’ultima opera di questa collezione dedicata al “Vive”, 1977, il gesto sospeso della figura sacra di un antico dipinto assume il senso di un nuovo spazio pittorico assorto su se stesso, silenzioso e muto di fronte alla posa incontrastata di quel minimo frammento di tela, steso su un altro frammento rettangolare di tela, a sua volta appoggiata ad un’altra tela di fondo su telaio interinale. Tutti questi passaggi di materiali affini consentono all’immagine di mantenere un tono quasi monocromo che non distoglie l’attenzione del lettore dal rapporto linguistico tra la parola e l’immagine, questi due universi provenienti da spazi e tempi tra di loro distanti che Xerra riesce ad evocare nel luogo unico e isolato dell’opera.
Né va dimenticato che la parola “Vive” è uscita diverse volte dalla pagina o dalla tela in cui è stata originariamente pensata. Xerra ha infatti dedicato negli anni settanta, parallelamente a queste opere bidimensionali, un discreto numero di azioni che si collocano oltre lo spazio di fruizione della galleria d’arte. La parola “Vive” assume una funzione magica e quasi sacrale, entra negli ambienti più diversi, nel 1978 viene per esempio apporta nel “percorso rituale nei sassi di Matera” dove è scritta su un vetro trasparente che si infrange al culmine del percorso medesimo. Nello stesso anno Xerra usa “Vive” nei riguardi di Venezia forse immaginando la salvezza di questa città-mito, e al tempo stesso ironizzando sulla sua identità sempre più mondana, lontana dall’essere un luogo creativo dell’arte.
3. Gli anni Ottanta
Rivelando infiniti frammenti di immagini perdute.
Torniamo alle opere della collezione e agli infiniti tramiti suggeriti dai degni e dai colori che emergono sotto il vigile controllo dell’artista.
Opere di questa natura consentono una lettura piacevole di ciò che si vede e di ciò che il titolo suggerisce, isolando solo alcune parole tracciate sulla superficie.
Tuttavia non si può comprendere fino in fondo il contesto esistenziale e culturale che ogni immagine mette in gioco, troppo fitti sono i riferimenti, le citazioni, gli incastri di senso che l’artista sollecita in spazi così brevi e condensati. Bisogna allora preoccuparsi di “capire con gli occhi” il valore del montaggio e della decostruzione che Xerra opera come metodologia di una nuova conoscenza, senza gerarchie tra parola e immagine ma con una infinita e reciproca possibilità di sconfinare “altrove”, là dove non c’è punto di partenza e neppure punto di arrivo.
“Quello che accomuna sempre i diversi lavori è la voluta ricerca di una spiccata asimmetria; per cui l’equilibrio stesso dell’opera non è mai statico, ma è sempre dinamico e quindi lontano dal tipo d’impianto quale avrebbe potuto essere quello dei recuperati lembi di tele antiche. Anzi, è proprio il contrasto tra l’impostazione asimmetrica di questi lavori e quella certamente simmetrica delle vecchie tele qui utilizzate a conferire una ulteriore nota di spaesamento all’intera vicenda creativa”4.
Un volto di donna “importato dall’Italia, terra d’aranci” domina il poema visivo dedicato alle figure della “Madonna bambino e santi”. Il dettaglio di una figura diversa in avanti diventa nel titolo “Come verso”, creando doppi sensi e sottili incroci tra parola e immagine. D’altro lato due frammenti che rappresentano la bocca i una donna stanno in scena a rivelare il “talento di Maria”.
L’artista è proprio colui che comunica l’atto della rivelazione, non importa che cosa si svela o si rivela, decisivo è riconoscere quanta esperienza si afferra in questo difficile procedimento creativo. Rispetto al problema della citazione Xerra non è mai categorico: che si tratti ora di una pittura religiosa del seicento o di un disegno di architettura del settecento poco importa, ciò che conta è il grado di ambigua suggestione che ogni citazione riesce a sollecitare, lo spazio di interpretazione che sa alimentare al di là di sterili ragioni culturalistiche.
“Non si tratta di certo citazionismo attuale secondo cui l’arte non avrebbe più avvenire. Il discorso di Xerra è un altro: l’arte si trascina dietro il passato come una lunga catena affascinante, ma questo passato è usato per mostrare con spregiudicatezza l’aspetto nascosto dell’elaborazione delle fonti iconografiche. Il modo più corretto per guardare l’opera di Xerra mi pare sia proprio questo: di cogliervi la testimonianza dell’uso libero, poetico, ironico di tutti gli elementi messi in gioco: è un’opera di sapienza e persino di virtuosismo, ma anche di estremo pudore per quel suo svelare l’anima a poco a poco”5.
4. Verso gli anni novanta
Nuovi pensieri pittorici e altre tentazioni creative
Abbiamo finora registrato una costante presenza del titolo a sostegno del già complesso livello verbale e visivo che l’artista è solito sollecitare. La titolazione ha infatti la funzione di spiazzare la lettura dell’opera oltre lo straniamento già presente nel testo visivo.
Tuttavia ogni buona regola ha la sua eccezione. Nel nutrito gruppo di carte recenti, 1989-1991, di cui si avvale il profilo di questa collezione, non compare infatti l’uso del titolo, sostituito dalla classica forma “Senza titolo” di cui i pittori dell’arte astratta contemporanea hanno fatto largo uso.
Questa scelta risponde alla precisa volontà di concentrare la lettura sul linguaggio visivo in se stesso, sprovvisto di qualunque strumento di racconto o di spiegazione dell’immagine. Dunque, le carte “senza titolo” che Xerra ha inventato negli ultimi anni indugiano più sul versante della pittura che su quello della poesia visiva o dell’arte concettuale. Si tratta di puri pensieri pittorici c alberati nel sapiente uso del collage, del disegno, del pastello o dell’inchiostro, come se si trattasse di evocare altre soglie, altri spazi dell’immaginazione.
La preziosità della carta, che l’artista sceglie come immagine di partenza già ricca di luminosità pittorica costituisce lo spazio privilegiato per questi respiri leggeri del colore, segni fragili, minime citazioni ridotte a ironiche figurine della storia dell’arte, tratteggi veloci e macchie di pensiero rivolte verso la memoria individuale e collettiva.
“Questa vocazione al ricorso si trova anche nelle opere recenti, in cui sullo sfondo di un azzurro malinconico e fluviale si allineano ritagli di colore, digrammi, scritture di quaderno, reperti di icone, bende e garze grafiche. La composizione si è fatta ora quasi esclusivamente pittorica, più omogenea rispetto al suo tessuto, spesso giunge ad una essenzialità costruttiva giocando con la nitidezza della geometria, con l’intersezione calibrata delle diagonali, con la tagliente perentorietà dei perimetri”6.
Anche se le tecniche di montaggio e di sconfinamento tra parole e immagini sono quelle che ben conosciamo in Xerra, bisogna sottolineare che il clima di questi fogli è del tutto estraneo all’austera presenza delle tele, somiglia quasi al rapporto che intercorre per un pittore tra l’incantevole esercizio dell’acquarello e il rigore costruttivo della pittura a olio. Ma non è proprio così; infatti nella carte di Xerra c’è una proiezione mentale verso uno spazio che va oltre queste forme e queste tracce fissate con immediatezza sul foglio. C’è un’ambizione da parte dell’artista di tornare a fare i conti con l’ambiente, con le installazioni di materiali in luoghi aperti, con l’intervento su scala ben diversa di quella cui la pittura è comunque soggiogata.
Si coglie in sostanza un senso di appunto provvisorio, ma non per questo minore, di terapie da tenere a mente per un ulteriore approfondimento. Osservando questi puri concetti spaziali si avverte che se non parlano come di consueto, proprio per assenza del titolo, pur tuttavia sprigionano dal loro silenzio assoluto e dalla loro sintesi visiva un forte impulso a travasare queste energie altrove, nell’ambiente, comunque fuori sa foglio.
“Nel passaggio dalla scrittura-pittura alle attuali ‘proiezioni’ William Xerra ha illustrato ancora una volta la sua sensibilità organica della mobilità nello spazio interno del suo immaginario. La tela, il telaio, la pagina bianca sono dei concetti spaziali che corrispondono a laconici influssi poetici del pensiero attivo di Xerra. Una cornice che non chiude, ma che delimita la fine del discorso retorico e l’inizio della grande libertà dello spirito. Un confine insomma che si apre su due campi uguali della stessa libertà”7.
Non sappiamo se la pittura saprà da sola soddisfare questo desiderio innato di invadere lo spazio e di avvolgerlo in quella dimensione fantastica che Xerra persegue da oltre vent’anni; certo è che ogni nuova mossa non potrà ignorare tutti gli strumenti già sperimentati, dalla pittura all’happening, dal foglio al libro-oggetto, all’azzardo di immagini sempre sconcertanti. Tali sono per esempio gli oggetti o, se si vuole, le sculture parallele ai dipinti di questi ultimi anni, vale a dire le combinazioni eccentriche di forme quotidiane che creano forme irreali, surreali e anche metafisiche, come si è recentemente visto in una rassegna vicina al design curata da Restany. Come giustificare la distanza da queste opere dal soffio delle carte pittoriche di cui abbiamo parlato, come interpretare la manipolazione fantastica di oggetti d’uso rispetto al clima di una ricerca che fa riferimento soltanto all’utilizzazione di una propria archeologia interiore, privata e folle, assoluta e per nulla domestica?
Non c’è giustificazione alle direzioni contrastanti che Xerra per temperamento ha sempre affrontato; l’arte di “errare” è il sintomo della sua intima vitalità. Spostarsi da un luogo all’altro significa vuotarsi e riempirsi di nuovi stimoli, da un lato disegnare forme imprendibili, dall’altro affermare oggetti per un nuovo uso.
Xerra non ha infatti soluzioni ma una capacità irriducibile a rivelare le parti nascoste della realtà, a riscoprirle e farle di nuovo vivere sulla via del territorio davvero creativo, ambiguo e indeterminato, perfino irresponsabile, come è il linguaggio dei poeti.
Claudio Cerritelli, 1991
NOTE
(1)P. Restany, testo di accompagnamento all’happening in S. Damiano di Piacenza (26/10/1973), “Verifica del miracolo”, edizioni Vanni Scheiwiller, Milano 1976
(2)F. Menna, Le parole della pittura, testo inedito del 1988 pubblicato in catalogo mostra Galleria Mazzocchi-Parma, febbraio-marzo 1990.
(3)A.C. Quintavalle, Xerra e il rimosso, in “Vive”, edizioni Geiger 1976
(4)G. Dorfles, Unità estetica nell’opera metasemantica in Xerra, in “Xerra, ellera, errare, strale”, Nuova Prearo Editore 1985
(5)R. Boscaglia, La tela come spazio condiviso, in Gran Bazar, n. 57, Milano 1987
(6)E. Pontiggia, Il refuso, il ricordo, in catalogo mostra Studio Steffanoni 1991
(7)P. Restany, La verità dell’apparenza è poesia, in catalogo mostra Studio Steffanoni, 1991