Vagabondaggi e inquadrature: Cartoline illustrate
questi marginalia
che forse si possono leggere
nel territorio della poesia1
In un appunto pubblicato con altri inediti e rari sul n.18 del “Caffè illustrato”2, Attilio Bertolucci, poeta della visione, suggerisce una della chiavi per avvicinare lo sguardo nitido e partecipe ch’egli pone sul paesaggio, riferendosi al cinema, di cui fu grande cultore sin dall’adolescenza.
Il nostro occhio di continuo inquadra: sia che guardi un paesaggio o, che fa lo stesso, una strada di grande città, o una stanza deserta. Alle luci, cui in un film sapientemente pensa mettiamo uno Storaro, nella nostra giornata è il giro del sole, il primo addensarsi delle ombre che ci “pensa”.
Per questo ci appare perfetto, accanto alla scelta d’autore del titolo, il frammento poetico che apre la raccolta. Comunicando il ricordo della campagna lontana e cara, del suono e del colore di cielo, cui pensare in un giorno d’inverno, segnala il respiro della luce, mentale e reale, che “inquadra” il paesaggio. È la stessa luce che intesse e “inquadra” le Cartoline illustrate.
Ma la cartolina, che ci porta immagini lontane, non è forse un’inquadratura? Inquadrature dunque anche le prose del “Viaggio a”, costruite con sapiente messa a fuoco di particolari, avvicinati o distanziati sia con restringimenti sia con allargamenti di campo e con un apparente dérèglement compositivo, che è invece un “ordine calibrato con mirabile misura”. Per questa via si giunge alla campitura sul monumento, esterno o interno che sia, descritto da Bertolucci con la somma virtù della leggerezza e della rappresentazione precisa ed esatta, di raro equilibrio tra qualità d’arte, verità storica e gusto dell’aneddoto. Raffinato essayist, il poeta sa, con Virginia Woolf, ma anche con il nostro Emilio Cecchi, che trasparenza e naturalezza, armonia e variazione, innesti di ricordi privati e “divagazioni”, creano un tessuto fermo e insieme piacevolmente mobile3. E sa anche coniugare questi pregi con un’attenzione costante, e mai pedante, al rapporto tra passato e presente, tra tradizione, spesso altissima, e passaggio del tempo e delle generazioni, che trasformano, innovano, fino a minacciare e a deturpare il bello della natura e dell’arte.
“Questi nostri viaggi sono caratterizzati dalla ricerca dell’inusuale, dello sconosciuto”, scriveva Sabatino Moscati, introducendo il suo “Viaggio a Cassino” e pensando certamente all’ignaro visitatore da coinvolgere4. Eppure il “viaggio” con Attilio Bertolucci sembra condurci verso luoghi di un’Italia minore, ma quanto mai nobile, conosciuta profondamente e intima mente; luoghi che appartengono a realtà d’anima e di memoria, proustianamente intesa; luoghi che scaturiscono dall’ “invenzione dal vero” che li trasforma e li inserisce nella durata e nel tempo della parola e della visione. Non a caso, vedremo, saremo spesso trasferiti come su una scena; d’ispirazione verdiana, naturalmente, se Verdi è quel grande creatore di una “verità più vera del vero” cui ha sempre guardato Bertolucci.
Di più, gli incontri d’arte, ai quali siamo guidati dal poeta, conservano e trasmettono l’esperienza grande e varia, frutto di studi e di passione, del giovane che era stato nutrito, nella “piccola capitale” di Parma, dalle opere del Correggio5 e del Parmigianino; era stato amico di Francesco Arcangeli6; aveva apprezzato nell’Università bolognese le lezioni di Roberto Longhi, facendosi buon connaisseur7, docente nei licei8 e critico d’arte sulle pagine di quotidiani e periodici9, e innervando la sua poesia di immagini e suggestioni tratte dalle diverse arti.
La scelta dei luoghi inoltre, segue le tappe dell’esistenza del poeta: il territorio parmense e le terre bagnate dal Po su su fino a Cremona e a Mantova; Salsomaggiore, dove si recò bambino, negli anni venti, in compagnia del nonno Giovanni Rossetti e dove tornò adulto10; la Lunigiana, tappa nei trasferimenti verso la Versilia, terra di vacanze estive; il Lazio, che lo ospitò, a Roma, a partire dal 1951.
Non ci sorprendono le mete, anzi avvalorano ciò che prima abbiamo affermato: quando, negli anni ottanta, il poeta stende i suoi “Viaggio a”, quasi naturalmente torna ai luoghi che ritrova nella memoria. Torna a evocarli, ora nella nebbia che li ovatta (Fontanellato) ora sotto la luce di una notte di luna (Busseto), ora procedendo con Fabrizio del Dongo e Sthendal (Colorno), ora sull’aria dei ventilati versi di Dante e di Ceccardo (Filetto), nella “fata morgana” infine, di montagne “viste e amate come insostituibili” (Le Apuane) o nella “dolcezza dell’aria e del ritmo, del passo di vita” della ville d’eau dal “meraviglioso” liberty (Inno al liberty)11. Ed è il tempo della memoria, che intrecciandosi con l’esistenza, rende le parole di Bertolucci epifaniche e poetiche, senza perdere la verità, la pertinenza critica e la concretezza del reale.
Attilio Bertolucci nei suoi primi interventi sull’arte (e pensiamo in particolare ai memorabili articoli sulle biennali veneziane del 1948 e 1950, ora raccolti in Ho rubato due versi a Baudelaire)14, si era proposto come “disinteressato turista in crociera di navegar pitoresco”, scegliendo la forma della “passeggiata” come la più appropriata per un’avventura dell’occhio e della mente. La stessa forma fu poi usata nelle cronache degli anni 1956-1957, quando si fece critico d’arte contemporanea sulla “Fiera Letteraria”, firmando la rubrica “Mostre romane” e scrivendo altri pezzi sulla “Illustrazione Italiana”15.
Fu tuttavia vero e mirabile scrittore di viaggio nella serie di articoli Gli antiquari, pubblicata su “Il Giorno”, cui collaborò dal 1963 al 1976, articoli cari al poeta, che, ormai alla fine della sua vita, ne rivendicava l’originalità e che ora si leggono nell’ultima parte di Ho rubato due versi a Baudelaire sotto il titolo Viaggio fra gli antiquari.
In quelle pagine assai eleganti, dove si intrecciano “bellezza e verità”, possiamo seguire il cammino, il “vagabondaggio”, lo diremmo con Cecchi16, per la libertà di spostamenti e di soste, di curiosità e di scoperte, del viaggiatore Bertolucci, l’artista che andava scrivendo il quotidiano e il feriale: gli incontri, le conversazioni in negozi mal riscaldati con raccoglitori “ascetici” e aristocratici, innamorati dell’antico, carezzevoli nel gesto con cui togliere la polvere da un oggetto.
Sono pagine che ci introducono a città, che, a partire da Piacenza e Parma, egli visita con competenza di maestro e con la naturalezza di chi si lascia andare al ritmo fluente di una pacata giornata, raccontando tesori d’arte, ora racchiusi in un castello o in un’importante galleria come la Galleria Ricci-Oddi, più spesso scoperti in quelli ch’egli chiama gli “empori delle meraviglie”: botteghe di rigattieri, ricolme dei più disparati oggetti, e botteghe antiquarie, dove ammirare porcellane, quadri, disegni d’artisti importanti come il Beccafumi, accanto a mobili d’epoca dai legni e dagli intarsi preziosi, di grande sapienza artigianale.
Non diverse la struttura e la voce delle Cartoline illustrate, una voce cordiale e comunicativa, dai toni smorzati, con qualche punta arguta o dissonanza. Qui le città si allontanano sullo sfondo, richiamate da un riferimento chilometrico o stradale o da un accenno lieve. Al contrario, si affacciano in primo piano un borgo o una cittadina o una zona aperta, che ospitano un’opera architettonica di pregio su cui il narratore, che già l’aveva talvolta incontrata nel Viaggio fra gli antiquari, si sofferma particolarmente.
Obbligato a restringere il suo “Viaggio a” in uno spazio definito – ma al poeta, uno degli scrittori più liberi mai conosciuti, non dispiaceva sentirsi “obbligato”! – Bertolucci costruisce questi pezzi puntando proprio sull’idea della “cartolina”, limitando a pochi tratti e senza troppi indugi descrittivi l’itinerario. Eppure quanta sapienza nel montaggio, quanta consistenza e ricchezza nel trasporre le immagini architettoniche e figurative in immagini letterarie; quale aria e colore di ore nei suoi schizzi di paesaggio! Il pur rapido cammino si ricolma di tempo meteorologico e di vita, di quella vita che le opere sanno conservare: tra le strade del borgo o all’interno dei cortili e delle mura affrescate; in sale preziosamente ornate; in boudoirs dove nobili fanciulle andate spose si agghindavano o venivano effigiate per l’eternità nella loro grazia e bellezza. Su tutto le risonanze di una musica “infinitamente umana”, alla cui eco aveva percorso le vie o sostato nell’incanto della contemplazione in una “notte placida” (Montechiarugolo), nelle pause di una colazione all’ombra di una pergola o di mura accoglienti.
Allo stesso modo si procede nelle altre Cartoline dove si presentano rocche, castelli o santuari:
in Colorno, esemplare per l’uso della variazione e del movimento temporale e spaziale, che anima le architetture murarie e arboree; dà sostanza alle trasformazioni armoniche operate dai Borbone, da Maria Luigia, ancora dai Borbone e alle spoliazioni dei Savoia; si chiude infine sull’Arancera, sul “gioco di archi in controspinta aperti in tondi” del primo piano ideato da Ferdinando Bibiena;
nel Santuario delle Grazie (Mantova), il cui puro gotico mette in scena i Guerrieri Straccioni di Frate Francesco d’Acquanegra, anticipatore naïf di Goya;
Ma il soffitto della sala dove pranzavano gentildonne e gentiluomini sul morire ritardato della “belle époque” è una pura meraviglia di nuvole, azzurri, ghirlande di rondini in volo, e proprio quelle gentildonne, in abiti che cominciano ad allentarsi e accorciarsi, e loro partners in frack, le une e gli altri per niente stupiti di ritrovarsi in cielo.
In queste Cartoline e nella altre, cui accenneremo, è l’esercizio della “divagazione” proprio di Bertolucci (e di Proust, naturalmente) a creare il ritmo ondulante del racconto. Talvolta è appena un nome o un verso21 e un accenno22; talaltra è una breve vicenda narrata con garbo e riferita a se stesso23, più spesso è un piccolo percorso all’interno di libri o luoghi, che più ha amato.
Gabriella Palli Baroni, 2006
(1) Da una dedica di Attilio Bertolucci ad Aritmie
(2) Datato 1992, si legge nel Dossier Bertolucci, a cura della scrivente, in “Il caffè illustrato”, n. 18, maggio-giugno 2004 p. 45.
(3) Sulla “divagazione” e su queste caratteristiche della prosa di Bertolucci essayist si rimanda alla nostra più ampia trattazione Le ali della prosa in Attilio Bertolucci, Ho rubato due versi a Baudelaire. Prose divagazioni, Mondadori, Milano 2000, p. 431-449.
(4) Per Moscati e altre firme su “L’Espresso” si veda la Nota al testo (p.12)
(5) Memorabile il ricordo di una visita di Bertolucci e Ungaretti alla Camera di San Paolo, fonte di ispirazione per il grande vecchio poeta, come la scrivente racconta in “Rivelazione” del Correggio. Da una lettera di Giuseppe Ungaretti ad Attilio Bertolucci, in “Antologia Vieusseux” a. X n. 29, maggio-agosto 2004 p.61-69.
(6) Ricordiamo l’affettuoso Il romanzo di Francesco Arcangeli, in Aritmie, Garzanti, Milano 1991, p.123-125; ora in Opere, a cura di Paolo Lagazzi e Gabriella Palli Baroni, “I Meridiani”, Mondadori, Milano 1997, p.1089-1092. Arcangeli successe a Longhi sulla cattedra della Studio bolognese.
(7) Longhi, per Contini, che firmò la Prefazione al “Meridiano” Da Cimabue a Morandi (Mondadori, Milano 1973), fu “un grande critico d’arte figurativa, a sua volta fondato su un conoscitore eccezionale, cioè su un reticolato di memoria senza pari”. Ma si veda per questo, in Aritmie, cit. p. 162-167 e ora in Opere cit., p. 1137-1143, Non intervista a Roberto Longhi.
(8) Bertolucci insegnò Storia dell’arte nel Convitto Maria Luigia di Parma e, dopo il trasferimento a Roma nel 1951, nel Liceo classico Virgilio in questa città.
(9) Rimandiamo agli scritti d’arte di Bertolucci in Aritmie e in Ho rubato due versi a Baudelaire, e ai saggi della scrivente Le ali della prosa, postfazione al volume testè citato, e Attilio Bertolucci critico d’arte della “Fiera Letteraria”, in I sentieri incrociati, a cura di Marcello Ciccuto, Baroni Editore, Viareggio 2002, p. 193-212. Segnaliamo infine la tesi di Laurea Magistrale di Silvia Trasi (Università degli Studi di Milano. Facoltà di Lettere e Filosofia) dal titolo Ricordi figurativi di Attilio Bertolucci.
(10) Salsomaggiore è il tema ricorrente nell’opera di Bertolucci. Ricordiamo in particolare Edith Wharton a Salsomaggiore (Aritmie, in Opere, p. 1002-1006), Burattini e marionette (ivi, p. 1193-1195) e il bellissimo capitolo XV Nonno e nipote de La camera da letto (Opere, cit. p. 571-578).
(11) È vero che Bertolucci continuò a trascorrere le vacanze estive a Tellaro almeno fino agli anni novanta, ma anche nei pezzi che raccontano questi luoghi, come Le Apuane datato 21 novembre 1982, la prospettiva temporale è evocativa, nel passaggio tra il tempo della composizione, l’inverno, e il tempo estivo della vita reale.
(12) Si legge nel ritratto Non intervista a Roberto Longhi: “Come diventa loquace Longhi se deve parlare di intonaco, mattoni, infiltrazioni d’acqua eccetera. La fragile natura fisica di quelle cose sublimemente spirituali che sono le opere d’arte, la loro caducità lo commuovono profondamente, e allora per allontanare la cosa orribile che potrebbe essere la loro fine, egli aguzza tutto il suo ingegno nella direzione della carpenteria e della muraria, della piccola chimica dei colori e delle vernici”.
(13) A Ninfa Bertolucci fu invitato da Marguerite Caetani, che diresse “Botteghe oscure”, la rivista su cui Bertolucci pubblicò poesie nel 1948 e nel 1950.
(14) Si veda la sezione di Ho rubato due versi a Baudelaire intitolata Mattini a Venezia e altrove.
(15) Gli articoli apparsi su “L’illustrazione Italiana”, cui Bertolucci collaborò dal 1955 al 1962, sono ancora da esplorare, a parte i pochi ristampi in Aritmie, cit.; poi, in Opere, cit. Per gli scritti in prosa si rimanda alla Bibliografia che accompagna Ho rubato due versi a Baudelaire.
(16) Bertolucci ricordava la “trattazione umana e intera” dei Vagabondaggi di Emilio Cecchi
(17) Fontanellato era già stato descritto da Bertolucci: in Castelli di Parma (“L’illustrazione Italiana”, a. LXXXIV, n. 5, maggio 1957, p. 32-40), in Luigi sedici sotto chiave nella zanzariera (in Ho rubato due versi a Baudelaire, cit. p. 359-360).
(18) Cfr. Antero Piletti, Corrado Cagli, Giulio Turcato, Renzo Grazzini, in “La Fiera Letteraria” a, XII, n. 18, 5 maggio 1957.
(19) Si rimanda a quanto scrive Cesare Garboli in Longhi lettore, in AA.VV., L’arte di scrivere sull’arte. Roberto Longhi nella cultura del nostro tempo, a cura di G. Previtali, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 114.
(20) Si veda su questi aspetti del linguaggio visivo e verbale, nella collana della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Parma: Cesare Segre, Pittura, linguaggio e tempo. Università degli Studi di Parma, Mup Editore, Parma 2006.
(21) Splendido l’incipt di Filetto sui passi “ventilati” dei versi del canto VII, vv. 115-116 del Purgatorio di Dante, che soggiornò in Lunigiana, e sul bel verso di Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, poeta assai caro a Montale e a Bertolucci che volle inserirlo nell’antologia Dagli Scapigliati ai Crepuscolari (a cura di Gabriella Palli Baroni, Cento Libri per Mille Anni, Poligrafico dello Stato, 2000). Il verso, che suona “quando il melo si fa magro d’argenti”, porta una variante “il fiume”, invece di “il melo”. Evidentemente Bertolucci qui cita a memoria.
(22) Si apprezzi l’ironico accostamento ch’egli in Montechiarugolo fa tra lo zelo letterario di Petrarca, “Quasi sempre assente e del tutto inutile” nei suoi doveri di canonico del Duomo di Parma, e il proprio: “Era un po’ come lavorare in Rai e starsene a scrivere poesie a Villa Sciarra”.
(23) Si veda l’explicit di Marina di Pietrasanta, che riferisce un divertente aneddoto di Carlo Emilio Gadda.
(24) Così Elsa Morante, nel ricordo Elsa in Aritmie, cit. p. 149-150 (ora in Opere, p. 1120-1122)
(25) Si legge in Aritmie, p. 16-31 e in Opere, p. 959-978.
Le illustrazioni di Xerra